domenica 26 marzo 2000

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 5 - Omi

    Prendiamo il volo come da programma, atterriamo a Monaco di Baviera e per prima cosa cerchiamo il desk del tour operator. Sorvolo sulla discussione che si è accesa dopo una serie di rimpalli di responsabilità, ma la conclusione è che non ci pagheranno il volo per Düsseldorf imputando a noi la colpa di quanto accaduto, anzi, ritengono di aver già assolto al loro impegno portandoci in Germania senza chiederci il rimborso del prezzo del biglietto…avremo modo di discutere successivamente.

    Ormai è quasi ora di cena, dobbiamo ancora recuperare la nostra macchina che dista quasi 600 km da noi (quasi quanto casa nostra a Monza…) e l’unico volo della serata è gestito dalla Lauda Air alla modica cifra di 600 marchi…che si fa? Si paga o si aspetta alternative migliori il giorno dopo?

    Elena è stanca, non vuole aspettare un altro volo e soprattutto non vuole dormire in aeroporto, quindi prelevo i contanti (qui posso finalmente farlo), paghiamo i biglietti e un’ora più tardi saliamo sull’aereo…siamo gli unici passeggeri dell’intero veicolo. I sedili sono in pelle nera e la cena che ci viene servita è davvero deliziosa. Almeno il servizio è ottimo, una magra soddisfazione per il prezzo pagato.

    Giungiamo a Düsseldorf ormai a serata inoltrata e andiamo a recuperare la macchina. È quasi mezzanotte e mettersi in viaggio per Milano non ha senso e non si ha voglia. Quindi propongo a Elena di chiamare mia nonna, distante poco meno di un paio d’ore da dove ci troviamo e di passare il weekend da lei prima di tornare in Italia. Lei acconsente, così chiamo la mia Omi.

    Non ho capito? Quand’è che arrivi?”, mi chiede Omi, che seppur sia un po' sorda, la domanda la pone per l'incredulità.

    Tra un paio d’ore, Omi. Ti trovo ancora sveglia?” replico.

    Come tra un paio d’ore? Ma dove sei?

    Sinteticamente le spiego tutto e dall’altra parte la sento ridere - al suo solito modo - dicendo solo uno sconsolato “Sascha…”, come per dire “sei il solito, ne combini sempre una”. 

    Però la mia Omi ha sempre le porte aperte e ci dice che ci aspetterà.

    Saliamo in macchina e a quel punto mi rendo conto che non abbiamo nessuna cartina stradale. Panico. Inizio a riesumare le mie nozioni di geografia della Germania e quindi a seguire le indicazioni di luoghi e città che so essere più o meno nella direzione in cui vorrei andare o di cui ho sentito parlare frequentemente mia madre quando da piccolo si andava in macchina dalla nonna (immaginando quindi che fossero luoghi vicino a lei). Prima zig, poi zag, e finiamo su un autostrada che indica, tra le varie destinazioni, anche l'Olanda. 

    "Non posso andare del tutto alla cieca, rischiamo davvero di finire chissà dove", informo Elena.

    Fortunatamente devo fare benzina e mentre mi servo al self.-service noto sul muro del benzinaio una cartina grossolana delle autostrade tedesche. Gioia e gaudio!! Subito memorizzo le città (e sono tante) lungo la direttiva che devo percorrere, tenendo conto sia i luoghi vicini sia quelli lontani, sapendo poi che i cartelloni delle autostrade riportano principalmente le grandi destinazioni. Un bel po' da tenere a mente, non avendo ne carta ne penna. Della memoria di Elena nemmeno a parlarne.

    Gladbeck, Haltern am See, Dülmen, uscita "Nottuln" e infine direzione Billerbeck. All'una mezza di notte passiamo sotto il cartello del "Ferienpark Holtmann", dove una sorridente Omi ci accoglie sorridente con le braccia aperte. Ce l'abbiamo fatta.

    Riusciamo ancora a raccontare la nostra avventura ad una Omi estremamente curiosa di come siamo finiti da lei e la suo unico commento resta sempre "Sascha, o mein Gott, bist immer der selbe!", ovvero "Sascha, o mio Dio, sei sempre lo stesso!" ... cosa avrà voluto dire...

    La notte porta ristoro e nei successivi due giorni ci rilassiamo nella campagna passeggiando nei campi, coccolati dalla Omi, prima di rimetterci in viaggio per tornare in Italia.

    


    E no, decisamente no, non è stato più economico partire dalla Germania.


venerdì 24 marzo 2000

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 4 - Vivere da esuli

    Giungiamo finalmente all’aeroporto

    Sono senza parole, ma lentamente mi rendo conto della situazione: siamo in Africa, un continente lontano un Mediterraneo dall’Europa, senza più un soldo avendo speso le ultime lire egiziane al  mercatino di Naama Bay, con una carta di credito senza plafond, una carta bancomat utilizzabile solo ai bancomat europei ed il prossimo volo per Düsseldorf programmato per la settimana successiva…Bene, cosa facciamo adesso?

    Non avendo soldi non possiamo nemmeno chiamare casa e chiedere aiuto. E diversamente dall’Europa, dove in ogni caso saprei giostrarmi per trovare una soluzione, qui mi trovo totalmente spaesato, lontano da casa e con intorno territori talmente diversi dal mio modo di vivere e di pensare che mi trovo – per assurdo – a fantasticare se sia possibile tonare a casa con una barca a remi. 

    In questo stato di sconforto entriamo in aeroporto e qui capisco che il problema non sarà di facile soluzione: il cosiddetto Aeroporto Internazionale di Sharm El Sheik non è alto che un grande capannone, un open-space enorme con al suo centro delle scrivanie rubate alle scuole che fanno da desk delle compagnie aeree e dei tour operator, che si identificano tra di loro con i rispettivi nomi scritti a mano su un foglio bianco attaccato con lo scotch sul bordo della scrivania. A questi tavoli si trovano sporadicamente degli steward o delle hostess, mentre sul tavolo stesso non c’è nulla, non un computer, non una stampante, solo qualche foglietto sparso disordinatamente e qualche penna. Ci sono code caotiche qua e là e non funziona nemmeno l’aria condizionata. I servizi igienici sono fuori uso.

    Elena si è seduta su una delle nostre valige e dopo aver scrutato l’ambiente appena descritto, abbassa la testa ed inizia come un mantra a ripetere “non usciremo mai da qui!”, sull'orlo di piangere per la disperazione. Cerco di sdrammatizzare ricordandole che al massimo possiamo tornare dal commerciante e scambiarla per i famosi cammelli, così lei avrebbe almeno un tetto ed io - dopo un lungo viaggio - potrei tornare a casa sul dorso del camelide e successivamente riscattarla. Elena non è dell'umore di scherzare.

    È ora di prendere in mano la situazione, non esiste che per incompetenze altri io debba pagarne le conseguenze. Al momento il mio unico obiettivo è trovare un volo, qualsiasi volo, per qualsiasi destinazione europea, ma soprattutto non mi deve costare nulla, perché non posso pagarmelo.

    Non voglio lasciare Elena alla sua disperazione e cerco nuovamente di rincuorarla prima di mettermi alla ricerca di chiunque abbia a che fare con il mio tour operator scellerato. Identifico uno steward con il logo del tour operator che sto cercando. Seppur abbia una voglia matta di scaricare sul povero malcapitato tutta la mia frustrazione e la rabbia della situazione, ho la mente abbastanza lucida da rendermi conto che ciò non sarebbe l’approccio migliore per giungere al mio fine, così lo fermo e con estrema e forzata cortesia gli racconto quanto è accaduto (lui mi dirà dopo di essere già sotto informato…ma allora perché non sei venuto a cercarci?!?). Gli faccio pesare molto il fatto che – a prescindere che io mi sia o meno aggiornato la sera prima sul volo, contravvenendo alle loro regole - la compagnia ha comunque l’obbligo di verificare al check-out che ci siano tutti gli ospiti e non può permettersi di chiudere la lista e abbandonare i turisti senza aver prima fatto di tutto per rintracciarli. La mia negligenza potrebbe eventualmente essere sanzionabile dalla compagnia, ma l'infrazione della loro procedura di controllo è stata a mio avviso gravissima, tant'è che le conseguenze sono – per l’appunto – nefaste.

    Fortunatamente la trattativa dura poco perché vedo lo steward molto collaborativo e propositivo, conscio che il problema è davvero grande, ed infatti lo convinco a metterci sul primo volo che abbia una disponibilità per entrambi e che atterri preferibilmente in un paese dell’Europa occidentale. Lo steward sparisce, e dopo un’ora di mancati contatti inizio a pensare che si sia dileguato lasciandoci al nostro destino. Elena nel frattempo si è un po’ ripresa confidando nella soluzione che ci è stata promessa.

    E alla fine torna, lo steward torna col braccio alzato e con dei biglietti in mano sorridente. Nel consegnarceli chi comunica: “Ho trovato 2 posti su un volo per Monaco di Baviera, parte tra un’ora. Fate subito il check-in dei bagagli!

    Vorrei tanto baciarlo! Germania, atterreremo in Germania. Certo che Monaco è dalla parte opposta rispetto a Düsseldorf, ma è comunque una fortuna incredibile. Elena - che ha solo intuito per motivi linguistici quanto sta accadendo - mi guarda come per dire “ma è tutto vero?”. Le confermo tutto e leggo chiaramente sul suo viso la tensione che improvvisamente svanisce ed un flebile sorriso che sostituisce la precedente espressione.

    Forse non resteremo esuli in terra straniera.

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 3 - Il viaggio agli inferi

    Da qui comincia la reazione a catena degli eventi: in costume e ciabatte inizio a correre giù dalla struttura ricettiva fino in spiaggia urlando a squarciagola “ELENA! ELENA!”. 

    Elena, beatamente sdraiata sul lettino e felicemente baciata dal sole, sente in lontananza la mia voce e voltandosi nota un folle che corre roteando le gambe come Willy E. Coyote agitando le braccia come per segnalare un imminente “disastro”. È ancora ignara su cosa le sta per piombare addosso.

    La raggiungo in evidente ipossia con il cuore che pompa faticosamente e violentemente sangue nelle vene e tra una boccata d’aria e l’altra le dico: “Corri …. in camera…, dobbiamo… patire… subito!

    Elena mi guarda perplessa, pensando sia uno dei miei soliti scherzi stupidi o che abbia avuto un attacco acuto di demenza. Quando le dico seriamente che stiamo perdendo l’aereo la vedo barcollare (e non per il caldo), ma fortunatamente reagisce (o sembra farlo) perché la vedo correre. 

    Arriviamo in camera, apriamo le valigie sul letto e ci buttiamo dentro i vestiti dentro - letteralmente alla rinfusa -, chiudendole lasciando penzolare fuori maniche di magliette, calzini e altri indumenti imbarazzanti. L’ultimo tratto tra camera e reception è in salita e con il sole quasi allo Zenith, il colpo finale. Ciò nonostante, 10 minuti dopo essere stato informato del nostro abbandono in Egitto da parte del nostro gruppo, ci troviamo all’ingresso del resort – sudati fradici - pronti a prendere un taxi chiamato nel frattempo dalla hostess (che però pare essere scomparsa). Mancano solo 40 minuti alla partenza, ma fortunatamente l’aeroporto è a pochi minuti di distanza…forse riusciamo nel miracolo.

    Mentre siamo fuori scalpitanti in attesa del taxi, ci raggiunge un conducente di un autobus parcheggiato lì vicino. Vedendoci scrutare nervosamente l’orizzonte in cerca del taxi (e la notizia di due turisti che devono raggiungere l’aeroporto autonomamente ormai si è sparsa in tutta la struttura), con gesti e parole ci fa capire che si rende disponibile a portarci lui “GRATIS” in aeroporto. 

    No taxi, bus! Free!” ci dice. 

    Non crediamo alla fortuna che finalmente sembra essersi accorta di noi. Non vedendo ancora alcun taxi, saliamo frettolosamente sul bus e partiamo in direzione aeroporto. Nel dubbio gli richiedo di nuovo con faccia incredula “Airport?” indicando il bus, giusto per dissipare ogni possibile dubbio, e lui convinto e soddisfatto risponde sorridente “Yesss!”, contento di esserci d’aiuto.

    Iniziamo ad intravedere l’aeroporto in lontananza, più che altro perché notiamo degli aerei sbucare da da dietro alle dune. Mancano 35 minuti…

    Lungo la strada arriviamo ad un bivio, indicante a sinistra l'aeroporto.

    "Dai, dai!" esorto l'autista nei miei pensieri. L’autista imbrocca la destra direzione ….resort…resort??? ….RESORT?!?!?

    Lo guardo incredulo e gli dico con occhi sgranati “Airport!! Urgent!! No time!!” poche parole ma chiare, ma l’autista serafico mi sorride di riflesso e ribadisce “No worry, airport”.

    Yes, ma airport now, not tra un hour!” gli replico ormai con le lingue in confusione. Stesso sorriso e stessa rassicurazione di risposta…

    Ci fermiamo davanti ad un resort con un gruppo di anziani che aspetta di salire a bordo. Probabilmente l’autista doveva passare a prenderli e ci ha dato un passaggio, ma accidenti, poteva almeno avvisarci. Il gruppo sale fortunatamente abbastanza in fretta e dopo pochissimi minuti il bus è di nuovo in viaggio. 

    Mancano 25 minuti al volo….ce la possiamo fare, l’aeroporto è piccolo, ce la possiamo fare.

    Quando scorgiamo un secondo e poi terzo gruppo sul ciglio della strada vicino ad altri due resort, capiamo che per noi non ci sono più speranze. Raccolto l’ultimo gruppetto, ormai veramente prossimi all’aeroporto, vedo un aero alzarsi il volo. 

    Vedi Elena, quello è il nostro aereo!” le dico ormai rassegnato al mio destino di profugo in terra egizia.

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 2 - La buona vacanza si vede dal mattino

    La settimana passa tra bagni in un mare di un blu mai visto e colmo di una varietà incredibile di pesci (io ero abituato all’Adriatico, quindi si può solo immaginare lo stupore di fronte all'immensa fauna marina del Mar Rosso), con alcune escursioni a Naama Bay e nel deserto: la più bella è stata la cammellata nel deserto a notte fonda e senza luna, potendo così ammirare una volta celeste e le costellazioni come mai viste prima. 

    In una delle passeggiate a Naama Bay, un paesino piccolo di pescatori con negozietti sparsi qua e là, un commerciante, nel mercanteggiare la vendita dei soliti papiri e profumi (tipicamente turistici, ma comunque di nostro interesse), mi ha detto che se gli avessi "ceduto" mia moglie, mi avrebbe dato ben 20 cammelli. Ovvio che è la tipica battuta egiziana per noi stranieri, ma è stato divertente negoziare "per finta" la cessione di Elena convertendo i cammelli nei più comodi cavalli di razza. Elena ovviamente mi ha poi riempito di schiaffi...più che altro perché diceva che valeva ben più di quei cammelli o cavalli proposti...

    In nessuno di questi giorni ho incontrato la hostess del tour operator, ne tanto mento gli altri ospiti tedeschi che nemmeno conoscevo.

    Arriva il giorno della partenza: alle 8 del mattino bussano alla porta della nostra stanza. Apro e vengo accolto da sorrisi smaglianti di due facchini pronti a prendere le mie valigie. Io sono ancora in pigiama e con gli occhi che stentano a restare aperti, con Morfeo ancora aggrappato sulle spalle. “Ma io ho l’areo oggi pomeriggio alle 16.30, è troppo presto! Non preoccupatevi, le valige me le porto io più tardi” dico loro con cortesia. I due si scambiano degli sguardi sbigottiti, ma mi sorridono e salutano interdetti e poco convinti. Io invece provo a tornare a letto, ma ormai Morfeo mi ha abbandonato.

    Ci alziamo, ci mettiamo il costume, andiamo a fare colazione e poi di corsa giù in spiaggia per le ultime ore di sole. Poco prima di pranzo, immaginando che ci si un punto d’incontro da qualche parte in cui raggrupparsi prima di andare in aeroporto, mi dirigo verso la reception in cerca della famosa hostess, snobbata fino a quel momento.

    La trovo seduta alla scrivania intenta a scribacchiare, mi presento e le chiedo con un sorriso a 32 denti a che ora dobbiamo incontrarci per prendere il volo per Düsseldorf. 

    La ragazza diventa pallida, inizia chiaramente a sudare freddo e a agitare le mani mentre dilata oltre misura sia occhi che bocca. Io la guardo e non capisco…

    MA IL VOSTRO VOLO PARTE TRA UN’ORA!!” si mette a urlare la ragazza, “DOVRESTE GIÀ ESSERE IN AEROPORTO CON GLI ALTRI!”.

    Evidentemente non lo siamo”, penso ancora poco consapevole della gravità delle sue parole, tant'è che le rispondo candidamente "Ma il volo non è mica alle 16.30? Come mai tutta questa fretta?"

    Nel farneticare in pieno panico la hostess mi chiede come ma io non abbai guardato sulla bacheca per avere aggiornamenti sul volo come lei aveva suggerito al primo briefing di benvenuto…

    …ora capisco a cosa servono i briefing…

    Cos’era accaduto: io, che come dicevo non ero mai andato in un villaggio organizzato, non sapevo che i voli charter potessero subire cambi di orario addirittura di intere giornate (in seguito ho imparato che i charter anticipano sempre i voli, non rispettano l'orario originale e soprattutto non li ritarano mai). Capisco ritardi nei voli, ma non anticipi consistenti…. E non avendo verificato la sera prima (come avrei saputo se avessi presenziato al briefing) era rimasto all’oscuro del “rescheduling” del volo alle 12.00 circa.

    A questo punto il panico assale anche me quando la ragazza mi chiede - o si chiede ad alta voce - come diavolo farà a portarci all’aeroporto visto che non c’è più il bus. Mentre lei cerca di trovare una soluzione mi consiglia di presentarmi con le valigie in recepiton “SOFORT!”, ovvero “subito!”.

venerdì 17 marzo 2000

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 1 - Il lungo viaggio

     Arriva il giorno della partenza: carichiamo la macchina e via in direzione Düsseldorf.

    In serata – e dopo mille soste e altrettante code (le “Staus” - in tedesco – sono inevitabili) giungiamo all’aeroporto, ma dato che la partenza è alle 4.35 del mattino, decidiamo di dormire in macchina - parcheggiata nell’autosilo dell’aeroporto - come due barboni. Dimentichiamo però che a motore spento e a Marzo in Germania fa ancora decisamente freddo, quindi la notte passa battendo i denti; ma poco importa, intanto in poche ore saremo baciati da un sole caldo.

    Al check-in mi lascio trascinare dal Tour Operator e dalla gente che dovrebbe partire con noi perché non sono abituato ai viaggi di gruppo. E non sono nemmeno abituato agli orari sfasati dei charter, che partono con 2-3 ore di ritardo senza un vero motivo. Pazienza, voglio avere un atteggiamento positivo, quindi mi adeguo.

    3 ore dopo il decollo atterriamo all’aeroporto di Sharm, una semplice colata di asfalto in mezzo al nulla desertico con un capannone che lo affianca. All’uscita ci attende la nostra “hostess” e per la prima volta comprendo cosa significa il termine “hotel con FORMULA ROULETTE” sulle brochure di viaggio: tu credi di andare nell’albergo specifico indicato nella brochure e sulla base del quale hai scelto quella meta, ma in realtà finirai in un altro hotel senza sapere però quale sia ne dove si trovi…come la roulette russa, giri il tamburo e non sai cosa ti aspetta quando schiacci il grilletto. Per nostra fortuna la destinazione che ci viene assegnata, essendo gli ultimi della coda, è l’Holiday Inn, dicono “di classe superiore” rispetto alla categoria della nostra prenotazione. Bene, notizia positiva....

    Una precisazione va fatta: essendo partiti con un tour operator tedesco, ovviamente tutti i compagni di viaggio nonché le hostess del tour operator sono tedesche o parlano solo tedesco…per l’immensa gioia di Elena che non capisce nulla della lingua.

    Dopo un brevissimo viaggio in bus arriviamo all’albergo: ci troviamo in realtà vicino a Naama Bay , e più precisamente a ridosso di Shark's Bay. Per la mia limitata esperienza alberghiera e di resort (io navigavo ancora a ostelli e campeggi) il luogo sembra molto curato e bello, forse anche troppo sfarzoso per le mie abitudini. Ci informano su un briefing da fare per la presentazione della struttura, ma sapendo che Elena non capisce la lingua e che a me non interessano le attività di animazione, bypassiamo il briefing e ci dirigiamo direttamente in camera, una villetta graziosa tutta nostra, enorme e con terrazzo vista mare…altro che upgrading, questo è un posto magico!!!

    Importante da ricordare: il fatto di aver snobbato il briefing si rileverà essere stata un'enorme imprudenza….

mercoledì 1 marzo 2000

SHARM EL SHEIK - 2K: Prologo

    AD 2000: Siamo sposati da quasi un anno. Nel frattempo papà mi ha lasciato da pochi mesi e l’inverno freddo ci ha un po’ mandati in letargo. Necessitiamo di un risveglio, di una ricarica e quindi decidiamo di prenderci una settimana di ferie per andare al mare

    Ma a Marzo l’Italia è ancora fredda e le nostre misere risorse finanziarie non ci permettono di guardare troppo lontano. Su insistenza di Elena andiamo in un’agenzia di viaggio che le è stata consigliata (nonostante il mio dissenso, visto che preferisco sempre più le vacanze fai-da-te). Dopo una lunga ricerca di mete marittime, vicine e lontane, l’unica eventuale meta possibile - per le nostre tasche - è una nuova località appena scoperta dal turismo italiano, un paesino di pescatori chiamato “Sharm El Sheik”, sulla penisola del Sinai in Egitto. Io non ho mai fatto vacanze in villaggi turistici – gli unici che conosco sono il “ClubMed” per i fighetti e i “Viaggi del Ventaglio” per i pensionati (o almeno queste sono le categorie di turisti che mi immagino) – e l’all-inclusive è un termine che non ho mai avuto modo di provare. Quindi resto incredulo di fronte alla proposta di poter fare una settimana ad un prezzo non da poco, ma tutto sommato contenuto. 

    Per pura casualità ne parlo con mia zia Petra in Germania, la quale mi dice che l’Egitto, soprattutto Hurgada, ma adesso anche Sharm, sono mete ben note ai tedeschi. Inizio una lunga ricerca su internet (con il mio piccolo modem a 56k) e trovo effettivamente una serie di proposte molto più interessanti ed economiche di quanto offerto dall'agenzia italiana, pur conservando lo stesso servizio (l'all-inclusive). Questa è un’ottima notizia, così riusciamo a farci la nostra vacanza economica pagando il minimo (tra matrimonio, arredo e affitto, le riserve sono pressoché a zero). L’unico problema è che la partenza deve avvenire ovviamente da un aeroporto in Germania. Tra le poche opzioni disponibili, scegliamo Düsseldorf, a SOLE 9 ore di viaggio in macchina e a 870km da Milano. Cosa vuoi che sia…

martedì 3 luglio 1990

GREECE '90 - 6° Tappa: "Il Lato Oscuro della Sfiga"

CAPITOLO VIII – Martedì, 3 luglio 1990

Tragitto: KARDAMYLI / AREOPOLIS / GYTHIO

Chilometri percorsi parziali/totali: 71 (di cui 20 in auto)/421 (di cui 22 in auto)

GIORNATA ALL’INSEGNA DELLA SFORTUNA PIÚ TOTALE: TRAGITTO IMPERVIO, SOPRESA ALLE GROTTE DI AREOPOLIS E COSTO INTUILE DEL TAXI….E, INFINE, IL DISASTRO AI MONDIALI IN ITALIA-ARGENTINA. IL LATO OSCURO DELLA SGIFA SI È IMPOSSESSATO DEFINITIVAMENTE DI NOI

CRONACA:

Dopo una straziante notte tra i soliti assordanti versi delle cicale ed il rombo di motori, apriamo gli occhi e tentiamo di riappropriarci dei nostri arti, che essendo diventati autonomi, non reagiscono al nostro volere: la perdurante pressione di una roccia sulla spalla ha praticamente “necrotizzato” il mio braccio e mi impedisce di utilizzare l’arto per alzarmi. Ci vogliono diversi minuti prima che il sangue riprenda a circolare regolarmente nei vasi sanguigni del braccio, ridandogli nuova vita.

Sono le otto e siamo ancora completamente, irrimediabilmente e costantemente rincoglioniti, ma nulla ci può fermare, siamo pronti per affrontare un’altra grande sfiga…ehm…sfida!!

La meta di oggi si rileva sì faticosa, ma fattibile. Vorremmo raggiungere Areopolis per poter tagliare da lì la penisola Messenica e dirigerci verso Gythio sulla costa orientale del tridente peloponnesiaco centrale. Areopolis è quindi una tappa intermedia imprevista che abbiamo scelto per poter visitare le grotte di cui ci hanno parlato molte persone locali. La curiosità ha quindi determinato il tragitto.

Proseguiamo con regolarità, prima passando in pianura quei tratti che costeggiano il mare ed in seguito su e giù per le basse montagne.

A sette chilometri da Areopolis affrontiamo una delle discese più insidiose mai incontrate: un lunghissimo rettilineo con una pendenza micidiale ci fa schizzare l’adrenalina fin dentro il midollo. Io e Marc, fermi prima del precipizio, ci guardiamo. Un sorriso complice esprime la cosciente incoscienza ed il perfetto allineamento mentale:

“Si va?”, “Certo….e senza frenare!!”, “Speriamo solo che non si smonti la bici!!”, “Ah, ah, ah,…vince chi non casca!!” scherziamo ironicamente prima di spingere con grinta sul pedale per acquisire più velocità possibile prima della discesa.

Con la schiena incurvata pedaliamo fino a quando la velocità inerziale supera quella ottenibile dalle nostre gambe ed il contachilometri di Marc inizia ad invadere la zona rossa del quadrante per poi bloccarsi definitivamente sui 70km/h, termine massimo di fabbrica consentito dal tachimetro. Il manubrio vibra violentemente e la borse sul portapacchi posteriore ondeggiano quanto basta per rendere più difficile mantenere l’equilibrio perfetto. Osservo la ruota anteriore girare ad una velocità mai vista prima d’ora emettendo un fortissimo ronzio della gomma sull’asfalto. “Fai che non si buchi proprio ora….!”, penso con quel minimo di razionalità che mi è rimasta.

Giungiamo indenni alla fine della discesa. Abbiamo appena fatto qualche centinaio di metri ad un velocità che difficilmente riusciremo a replicare. L’adrenalina ci fa urlare a squarciagola per l’esperienza appena passata ed i successivi minuti vengono accompagnati da risate tipiche da chi è conscio di aver superato ostacoli potenzialmente “letali”.

La gioia e l’azzardo hanno però il loro prezzo, a maggior ragione per noi qui in Grecia: non abbiamo percorso nemmeno tre chilometri in compagnia del fragore del mare che, appena la strada svolta verso destra evitando il versante sulla sua sinistra, ci si presenta invece una salita interminabile con solo un paio di tornanti, necessari per raggiungere i trecento metri di dislivello. Parrebbe che manchino poco più di quattro chilometro ad Areopolis, ma dopo aver disperso le ultime energie con lo sfogo di adrenalina di poco prima, questa fatica ci sembra impossibile da poter essere superata.

Inseriamo la prima marcia, quella della velocità a passo d’uomo, ed iniziamo a pedalare.

Dopo neanche un chilometro in poco meno di mezz’ora e sotto il solito sole cocente, Marc inizia a dare i primi segni di squilibrio mentale, canticchiando una canzoncina olandese che ricorda molto le note della canzone dei pirati con i suoi “quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto”. Ci manca solo di scorgere un avvoltoio disegnare ampi cerchi sopra le nostre teste ed il panico avrebbe iniziato a prendere il sopravvento.

“Dai, manca solo un chilometro alla meta”, grido a Marc esortandolo, “non molliamo!”.

All’ennesimo tornante con curva a gomito, noto come Marc sia rimasto molto indietro ed arranca con estrema fatica. Anche io ormai sono all’estremo delle forze ed il sudore ha completamente impregnato i miei indumenti. Il caldo asfissiante non mi permette di riprendere un fiato ristoratore, anzi aumenta la mia necessità di aria e di bere qualcosa di fresco, ma nelle nostre borracce c’è solo acqua calda.

Senza alcuna minima possibilità di trovare un ristoro sotto l’ombra e con i muscoli doloranti dalla fatica, mi fermo sull’argine della strada sedendomi sull’asfalto che emana un calore inenarrabile, braccia incrociate sulle ginocchia e testa china verso il basso nel tentativo di recuperare le forze. Le gocce di sudore mi entrano negli occhi facendomeli bruciare e non so come asciugarmi, visto che sono completamente lavato.

Osservo Marc che mi sta raggiungendo, ma noto che è in riserva. Non ce la fa davvero più, si ferma vicino a me e chiede un po’ di pausa. Il caldo però è insostenibile e allora decido di procedere da solo per valutare quanto effettivamente manchi alla meta, in modo da poter poi ritornare da Marc ed incentivarlo a dare l’ultimo sforzo. Lui acconsente, e così mi avvio con l’acido lattico che mi brucia nelle gambe e le tempie che non smettono di pulsare sangue caldo.

Non ho ancora fatto duecento metri in prima e con i muscoli in fiamme, che sento avvicinarsi un’automobile alle mie spalle. Non ne passano molte, oggi.

Mi supera e non le avrei nemmeno degnato di uno sguardo, se non fosse che ho notato che al finestrino del lato passeggero si era arpionato con una mano quel moribondo di Marc.

Mentre mi sorpassa mi saluta, sorridendo, con un innocente “Ciao, ci vediamo ad Areopolis…!”.

Resto a bocca aperta: dei connazionali olandesi, vedendolo sull’argine della strada e comprendendo la sua necessità, gli avevano offerto uno strappo offrendogli di aggrapparsi alla macchina. E così ha fatto.

Fortunatamente, girato l’angolo, un’ampia curva sulla cresta della montagna, intravedo Areopolis e la strada che diventa pianeggiante. Marc è lì sorridente che mi aspetta. Sono felice per lui, anche se dentro di me l’invidia lotta con la comprensione.

Il paese è semideserto probabilmente per l’ora calda. È un borgo di poche case costituito principalmente da case in pietra: sono costruzioni squadrate, realizzate a secco, molto caratteristiche e diverse dai più frequenti e classici edifici intonacati di bianco con finiture e tetti in blu. La posizione del paese è strategica: alle spalle troneggia un ampio altopiano mentre l’Egeo avvolge il promontorio su cui si trova Areopoli.

Siamo troppo affamati e disidratati per poter visitare i vicoli. Preferiamo dirigerci direttamente verso le grotte per poter trovare lì un po’ di ristoro dalla calura soffocante. Inforchiamo alcuni bivi seguendo la segnaletica che ormai si limita ad indicare le località solamente con l’alfabeto greco. Con le ultime forze raggiungiamo il sito. Notiamo stranamente che c’è poca gente in giro, nessuna coda alla biglietteria.

“O siamo fortunati oppure le grotte fanno schifo” sentenzio senza troppi complimenti. Purtroppo né una né l’altra opzione sono il motivo di tale desolazione, che avremmo di gran lunga preferito rispetto all’amara scoperta che abbiamo dovuto apprendere. Ci avviciniamo alla biglietteria. Un cartello solitario scritto a mano in greco ed in inglese domina la bacheca. Una sola parola, ma che non permette fraintendimenti: “STRIKE”…sciopero!

Io e Marc ci guardiamo. Non possiamo crederci. Restiamo inizialmente senza parole, poi partono alcune imprecazioni che però si perdono nell’aria per mancanza di forze. Siamo ancora sotto il sole ed il bar è chiuso anch’esso, così come l’ingresso alle grotte. “Cosa facciamo?” ci chiediamo. Raccogliamo le nostre ultime energie e torniamo ad Areopoli, un percorso che, per ironia della sorte, affrontiamo ovviamente in salita.

Stremati troviamo una locanda in cui ci rifocilliamo il minimo possibile per non compromettere il resto del viaggio. Dobbiamo infatti raggiungere Gythio sulla costa orientale della penisola Messenica, circa venticinque chilometri ad est. Lì abbiamo già identificato un campeggio che è segnato sulla guida come “MOLTO BUONO” e che dovrebbe quindi essere ben servito, con ampie piazzole e soprattutto molta, molta ombra.

Quando ripartiamo l’acido lattico ha iniziato a devastare il nostro corpo aggredendo i muscoli delle gambe e delle braccia che a fatica reggono il nostro peso: l’ultima salita le ha indebolite a tal punto che a stento riusciamo a controllare il manubrio. Partiamo fiduciosi che il tragitto restante sarà più gradevole dovendo raggiungere il mare, ma contrariamente alle nostre iniziali aspettative, la strada si avvia nuovamente in salita.

Percorriamo solo qualche centinaio di metri in direzione dell’altopiano senza poter vedere come potrebbe proseguire la strada una volta raggiunto il crinale e siccome in questa giornata la sfortuna domina sghignazzante alle nostre spalle, ci rendiamo subito conto che è inutile sperare in una discesa dopo la curva.

Ci arrendiamo, gettiamo la spugna, ormai lo scoraggiamento ha tolto le ultime energie. Ci guardiamo spossati, ansimanti e pronti a svenire. “Autostop?”, chiedo a Marc. Annuisce. Solo che non passano macchine. “Torniamo ad Areopoli e vediamo se lì qualcuno ci può aiutare o dare un passaggio”, mi consiglia Marc.

Facciamo inversione e ripercorriamo il nostro breve tragitto fino al paese. Non c’è anima viva. Ad un tratto, girando senza meta per le poche vie, notiamo un taxi.

“Ma quanto ci costerà?” ci chiediamo.

“Ci costerà un occhio dalla testa! Piuttosto rinunciamo ad un pasto, ma io non me la sento più di affrontare un’altra salita!” Su questo siamo perfettamente d’accordo.

Individuiamo l’autista fermo su una veranda che ci osserva senza troppa attenzione. Con qualche gesto gli facciamo intendere che vorremmo usare il suo servizio, ma il suo sguardo sbigottito ci allarma. Come fargli capire che anche se dotati di due ruote, preferiremmo usare le sue più comode quattro ruote, soprattutto perché dotate di un motore?

In uno scambio convulsivo di segni tipici dei giocatori di “Tabu”, concludiamo alzando la bici mostrandogli che vorremmo metterla nel portabagagli. Finalmente comprende la nostra necessità. Incredulo per la richiesta insolita, l’autista acconsente con cortesia e dopo diversi tentativi di deporre entrambe le bici nel vano bagagli previo alleggerimento delle stesse togliendo tutto il corredo di borse, tende, zaini e altro, siamo pronti per partire.

Il giochetto del taxi ci costerà parecchio. Il prezzo concordato, anche se economico rispetto a quelli applicati alla nostra città, per le nostre misere condizioni finanziarie sono un salasso. D’altra parte, pur di beffare la sfortuna, siamo disposti a pagare.

La nostra arroganza viene però puntualmente punita: dopo aver percorso il tratto di strada che puntava all’altopiano, una volta superato il crinale, che poco prima avevamo quasi raggiunto prima di abbandonare l’impresa, la strada si inabissa in una sequenza di tornanti tutte in discesa. Praticamente percorreremo gli ultimi venti chilometri che ci separavano da Gythio con la consapevolezza di aver gettato alle ortiche i nostri fondi. Nelle nostre teste sentiamo uno strano sghignazzo ed una voce fioca che bisbiglia vigliacca: “Che la sfiga sia sempre con voi!”

Impieghiamo circa venti minuti per discendere dalla montagna nel silenzio più totale. L’autista è un signore sui quaranta o cinquant’anni. Un signore di poche parole, forse perché le difficoltà linguistiche rendono più ardua la comunicazione tra di noi. Ha una particolarità sulla quale in seguito scherzeremo spesso. È vittima di un tic curioso, che gli fa sobbalzare il bacino in avanti come in un atto amoroso. Standosene seduto sul suo sedile lo osserviamo mentre a più riprese e senza alcun preavviso saltella ad un ritmo irregolare. Io e Marc ci guardiamo trattenendo con fatica un sorriso traditore.

Raggiungiamo il campeggio, il Meltemi Camping, pochi chilometri da Gythio. Paghiamo profumatamente il tassista e ci inoltriamo nel lungo viale sterrato che taglia in due l’enorme terreno di proprietà del campeggio. Espletate le formalità iniziali, troviamo una piazzola finalmente in pianura e con poche radici e solo qualche sasso. Montiamo la tenda e facciamo la spesa nel piccolo ma ben rifornito supermercato del camping dove per la prima volta assaggiamo il rinomato yogurt greco.

Il campeggio è ben organizzato: alberi di ulivo e di carrube sono stati piantati con regolare distanza permettendo ordinate piazzole di varie misure, adatte sia per le tende sia per i grandi camper che occupano gran parte della zona “vista mare”. La reception, una casetta indipendente costruita sulla sinistra alla fine del viale sterrato, accoglie i clienti un ampio atrio e i gestori tedesco-olandesi non si risparmiano sorrisi e cortesia. Il caseggiato viene accompagnato da un edificio più grande, in cui convivono un piccolo ristorante ed il supermercato. Tutto attorno all’edificio un bel porticato ospita grandi tavoli di legno con panchine che si possono utilizzare liberamente per qualsiasi necessità. Percorrendo infine il vialetto e superando il recinto del campeggio si giunge alla spiaggia. Sabbia fine si estende per chilometri su entrambi i lati ed il mare taglia l’orizzonte. Tutto sommato abbiamo trovato un nuovo paradiso.

Non abbiamo la forza per fare un bagno, così ci corichiamo un po’ prima della grande sfida delle semifinali dei mondiali di calcio: Italia-Argentina.

Purtroppo la giornata funesta finisce nel peggiore dei modi con la nostra nazionale eliminata ai rigori e le beffe esplicite ed indimenticabili dei turisti tedeschi, che temevano la finale con la Germania. È la prima volta che mi pento di essere tedesco. Ci vorrà un po’ per farmi passare quella sensazione.

Per oggi basta, abbiamo grattato il fondo. Speriamo che il giorno seguente sarà migliore. Abbiamo comunque deciso di fermarci almeno un giorno per recuperare le forze.

COMMENTO:

Per la prima volta abbiamo avuto la consapevolezza che ad affrontare questa avventura siamo in tre, in quanto la “sfiga” è una compagna che ci scorta senza tregua. Cominciamo ad essere stanchi di questi continui sforzi e le interminabili sfide. Non era così che ci eravamo organizzati il viaggio. Inoltre, nonostante la tappa sembrava fosse abbordabile, abbiamo dovuto comunque riscoprire i nostri limiti fisici, portati allo stremo sia per la fatica, sia per le condizioni estreme dell’ambiente. Siamo esausti, fisicamente e mentalmente. Come affronteremo il resto del viaggio?

domenica 1 luglio 1990

GREECE '90 - 5° Tappa: "Go Tell It On The Mountain"

CAPITOLO VII - Lunedì, 2 luglio 1990

Tragitto: KALAMATA / KARDAMYLI

Chilometri percorsi parziali/totali: 39 (di cui 2 in auto)/351 (di cui 2 in auto)

GIORNATA SCALFITA DALLE SOLITE FATICHE EROCOLINE E DA VARIE SORPRESE PIACEVOLI E MENO PIACEVOLI. BAGNO RISTORATORE E PRIMA TRAGICA ESPERIENZA DI PESCA, CON CONSEGUENTE CENA A BASE DI FRUTTA.

CRONACA:

Oggi ci svegliamo presto, alle otto e mezza. Avendo recuperato le energie nel giorno di riposo, ci sentiamo pronti a riprendere la nostra avventura. Mentre paghiamo la tassa per il campeggio, più per curiosità che per necessità, ci informiamo sulla viabilità del nostro tragitto odierno. Le notizie sono terrificanti: la strada diretta da Kalamata a Mystras (vicino a Sparta), circa 60 km, si preannuncia un’impresa impossibile da fare in bici. La direttrice del campeggio, segnalandoci prima sulla cartina il percorso tortuoso tra le cime montuose ed in seguito indicandoci con la mano la direzione tra le enormi montagne che si innalzano di fronte a noi per oltre mille metri, ci fa definitivamente apprendere come le tranquillizzanti indicazioni del nostro Prof. Hamann, che ci confermava che detto percorso non sarebbe stato così difficile come sarebbe potuto sembrare sulla cartina (probabilmente perché lui l’aveva attraversato in macchina?!), siano completamente inaffidabili.

Facciamo un improvviso ed alquanto drastico cambiamento dei piani: preferiamo allungare il tragitto sperando in percorso più bike-friendly.

Al bivio che troviamo alla fine di Kalamata, ci dirigiamo a sud, verso Kardamyli, un tratto di strada di una quarantina di chilometri che prevediamo sia relativamente pianeggiante, ma che con nostra sorpresa cambia tragicamente dopo i primi dieci chilometri percorsi costeggiando in piano il mare: dopo aver superato Mikri, la strada gira improvvisamente verso est addentrandosi nell’entroterra montuoso della penisola Messenica. Anche se le cime circostanti non superano i seicento metri, i successivi trenta chilometri, scopriremo in seguito, saranno un alternarsi di salite madornali, lievi discese e finti piani, tutte condizioni che rendono il tragitto più faticoso del previsto. Tra imprecazioni e parolacce colorite, affrontiamo nuovamente turbati la nostra sfortunata sorte. Fortunatamente il paesaggio è davvero suggestivo e ciò ci permette di distrarci frequentemente dai nostri sforzi.

Superiamo i primi chilometri in salita e raggiungiamo quasi i duecento metri di altezza. Siamo già sudati fino al midollo, il sole ci ustiona il collo nonostante i berretti e la meta ci sembra ancora irraggiungibile.

La strada è molto trafficata, e tra i vari mezzi che incrociamo ecco apparire nuovamente la famigliola trevigiana. Ci raggiungono a velocità modesta con il loro camper super-mega-lusso e appena ci scorgono, si accostano per informarsi sulle nostre condizioni fisiche, sulle nostre avventure ed i nostri progetti della giornata. Mentre li ragguagliamo, ci offrono gentilmente da bere, ma la loro apprezzata disponibilità aggrava la nostra flebile condizione: infatti, con l’intento di alleviarci la sete, ci porgono un bicchierino di Fanta (vorremmo evidenziare in modo particolare le misure ridotte del contenitore). Ingurgitiamo avidamente la bevanda e quello dei trevigiani sarebbe stato un gesto sinceramente apprezzato, se non fosse che la Fanta in questione, oltre ad essere dolcissima, misura la medesima temperatura dell’ambiente circostante. L’effetto su di noi è devastante, con il nostro corpo in conflitto con l’istinto di rimettere e l’espressione di gratitudine che cerchiamo faticosamente di mostrare. Anche se lo desideriamo, non osiamo chiedere un passaggio d’emergenza sul camper per il percorso restante, e loro non ce lo propongono, pertanto ci salutiamo, ringraziandoli, ed ognuno prosegue, ahinoi, per la propria strada.

Passano le ore ed il sole si posiziona allo Zenit. L’afa e la mancanza di liquidi ci hanno stremati. Quando ci troviamo a dover affrontare l’ennesima salita, decidiamo di spingere le bici, in modo da alternare per un po’ l’utilizzo dei muscoli rispetto a quelli utilizzati nelle pedalate. La fatica non è minore e la scomodità di tenere in equilibrio un mezzo che viene sbilanciato con facilità dalle sacche appese su entrambi i lati della bici, rende quasi più ardua l’impresa.

Nel frattempo, tanto per distrarci dai dolori muscolari, decidiamo di salutare tutte la macchine che incrociamo, alternando i saluti nella lingua abbinabile alle targhe che riconosciamo. E’ un giochetto che ci conduce spesso ad essere ricambiati con sorrisi e cortesia, ed in alcuni casi a gesti di puro volontariato: una coppia di romani, per esempio, interpreta il nostro saluto come una richiesta di aiuto e colti dall’inarrestabile istinto altruista ci offrono un pacchetto di biscotti. Ringraziamo, e mentre loro ripartono augurandoci tanta fortuna - condizione di cui siamo al momento fortemente carenti -, decidiamo di fare una breve sosta per rifocillarci.

Apriamo il pacchetto di biscotti, la nostra unica nostra risorsa alimentare. Infatti lungo le strade costiere del sud della penisola peloponnesiaca, difficilmente si trovano punti di ristoro se non nei paesini moderatamente organizzati…e ce ne sono pochi e distanti tra loro. Quindi, in questo momento, i biscotti sono considerati una manna dal cielo. Ci buttiamo bramosamente sui frollini prima di renderci conto che la saliva fa da collante con le briciole, rendendo pastoso ed appiccicoso l’intero intruglio. I pezzi iniziano ad incollarsi irrimediabilmente ai denti ed al palato, consentendoci di poter regalare ai successivi viaggiatori che incrociamo dei sorrisi davvero indimenticabili.

Il viaggio prosegue ed il caldo ci spreme il sudore da ogni poro. I biscotti, pur se graditi, non hanno minimamente soddisfatto il nostro appetito e la temperatura invivibile dell’una ci obbliga a fermarci per un’altra sosta. La fame ci sprona e ci guida fino ad un piccolo paesello sperduto, senza insegna e con una manciata di cascine. Chiediamo a delle ragazze, tra i venticinque e i trent’anni che incrociamo sul ciglio della strada, l’indicazione per un punto di ristoro e loro gentilmente ci accompagnano ad una piccola trattoria. Scopriamo che sono tedesche e ci fanno più o meno compagnia per tutto il tempo che mangiamo. Onestamente, non sappiamo come interpretare la loro presenza. Non comprendiamo, per esempio, se la loro esagerata disponibilità e gli eccessivi sorrisi pure nel momento del pasto abbiano altre finalità. Pur se non munite della tipica bellezza teutonica si presentano molto disinibite e decisamente provocanti. Onde evitare situazioni imbarazzanti, paghiamo il ristoratore e riprendiamo il viaggio salutando le simpatiche donzelle.

Lo ore passano in fretta tra ripide salite e rapide discese fino a quando, totalmente esausti nonostante il di per se breve tragitto, diamo segni di squilibrio facendo l’autostop pur pedalando, nella speranza di incrociare qualcuno disposto ad aiutarci. Testa bassa, prima marcia inserita, braccio sinistro teso e pollice verso.

Per molto tempo nessuno si ferma, fino a quando il nostro sadico destino si distrae brevemente, permettendoci di avere nuova fiducia nel futuro: un signore greco, munito di un pick-up decisamente datato, si ferma ed in un lingua mista e congiunta di gestualità e termini fonici casuali, comprende che chiediamo di essere accompagnati a Kardamyli. Inizialmente resta sbalordito dalla richiesta, non certo di aver compreso, ma successivamente ci offre il passaggio con molto piacere.

Carichiamo faticosamente le biciclette sul furgoncino e partiamo sedendoci nella cabina insieme al nostro benefattore. Per tutto il breve viaggio il tizio ci racconta, in un semi greco-italiano, che in passato è stato in Italia e che lì ha incontrato una donna bellissima, con la quale ha passato dei fantastici momenti e della quale conserva ancora il numero di telefono. Ascoltiamo sempre annuendo in segno d’interesse, anche se non garantiamo di aver compreso ogni singolo dettaglio. Giungiamo infine a destinazione, scarichiamo i nostri mezzi e ringraziamo con sincera gratitudine il soggetto.

Ci dirigiamo verso uno dei tre campeggi elencati nella nostra bibbia-di-viaggio e lì, con nostra sorpresa, incontriamo nuovamente i trevigiani con il loro camper. Anche loro sono arrivati da poco e si sentono moralmente battuti non comprendendo come abbiamo potuto raggiungerli in così poco tempo. Ci concediamo per un breve periodo di sfruttare il nostro segreto vantandoci invece delle nostre ciclopiche imprese con sfrontata modestia.

Montiamo in tutta fretta la tenda sotto un ulivo, tra rocce e radici, ci mettiamo il costume ed andiamo ad immergerci nelle fredde acque dell’Egeo per rinfrescarci.

Nel tardo pomeriggio ci dirigiamo in paese per fare la spesa: dopo tanti giorni passati a mangiare cibi che alzano spaventosamente il livello del colesterolo la scelta cade sulla frutta, così ammaliante ed appetitosa. Ne compriamo così tanta che il budget giornaliero non ci permette di acquistare nulla di “extra”. Il menu propone quindi: cocomero, melone, pesche, alcune albicocche, prugne, ecc..

Al tramonto decidiamo di darci alla pesca, improvvisando un’improbabile canna da pesca, costituita solo da un misero legnetto con uno filo di nylon. Il compassionevole amo ondeggia per l’aria in assenza del numero sufficiente dei fondamentali piombini. Diciamolo, l’attrezzatura portata da casa non garantirà di certo un ricco bottino. L’unica sventurata preda che riusciamo infatti a catturare dopo oltre un’ora di attesa è un innocuo e coloratissimo pesciolino, preso letteralmente e per pur casualità, per il naso.

Concludiamo la serata con le solite chiacchiere, racconti, e confessioni per poi coricarci nelle tende. Anche i “letti” iniziano a dare meno fastidio, dopo i vari giorni di adattamento:

prima di partire per questa avventura, nella nostra inesistente esperienza di vita da campeggio, contestualmente all’acquisto della canadese non abbiamo valutato la necessità di procurarci anche dei materassini, ad acqua o di gomma, confidando nei ricchi prati verdi e tipici della Grecia, come avevamo sempre identificato nelle immagini di Pollon, in cui fitte boscaglie si alternavano ad ampi prati in fiore…ebbene, dopo ormai una settimana di vita “rurale” in cui l’unico separatore tra il nostro corpo e la terra era la sottile plastica della base della tenda, sia le nodose radici, sia i più spigolosi sassi vengono ora selezionati al momento del montaggio della tenda. Ormai ci basta un colpo d’occhio. Simulando la posizione notturna valutando in anticipo i punti di pressione: “…allora, quel sasso si posiziona tra la quarta e la quinta costola, mentre quella sporgenza si incastra perfettamente con l’anca, in quella buca ci metto le spalle e la testa la appoggio su quella comodissima radice di ulivo…direi che ci siamo!”.

E poi ci stupiamo perché al mattino ci svegliamo ancora stanchi e con gli arti atrofizzati.

COMMENTO:

Stiamo iniziando ad accusare il colpo dell’insoddisfazione: oltre a Olympia non abbiamo visto altri siti ed il continuo cambio di programma, dovuto a difficoltà superiori del previsto seguito dalle medesime fatiche che abbiamo tentato invano di evitare, incrina la nostra volontà. Fortunatamente il panorama è davvero mozzafiato da queste parti, con un alternarsi di colline rocciose tempestate di ulivi e golfi azzurri abbracciati da tentacoli di pinete.

GREECE '90 - "Greek Mundial"

CAPITOLO VI - Domenica, 1 luglio 1990

Luogo: KALAMATA

Chilometri percorsi parziali/totali: -/312

BAGNO, CIBO E SPORT….L’ELISIR DEL GIOVANE SFATICATO…MA OGNI TANTO CE VO’

CRONACA:

Un record….addirittura quasi 10 ore di dormita questa notte!! Il campeggio semideserto (vorrà dire qualcosa sulla qualità del servizio?!), avvolto nella sua conseguente tranquillità, ci ha aiutato a riposare come si deve.

La giornata di sosta programmata trascorre tranquilla: un breve bagno in un mare di una trasparenza rara, innumerevoli pasti ipercalorici, discorsi con argomenti di vario genere, finché alle sei del pomeriggio ci mettiamo comodamente su un divano ad assistere l’altra nostra nazionale: la Germania, con gli “italiani” Matthäus, Klinsmann, Brehme e Völler, che sfida la sorprendente Cecoslovacchia battendola però senza problemi per due reti a zero.

Altra sfida interessante è Camerun contro Inghilterra, resa eccitante grazie alla presenza di Milla e del goffo portiere inglese Shilton, compagni di età ma non di bravura. Il nostro tifo non è però bastato a far vincere la squadra africana. Peccato, si meritava di passare il turno.

COMMENTO:

Questi giorni di riposo ci hanno aiutati a conoscerci meglio affrontando discorsi seri e raccontando ricordi di marachelle giovanili. In fondo all’inizio del viaggio eravamo quasi degli sconosciuti l’uno per l’altro e questa esperienza ci permette di comprendere ed apprezzare le nostre reciproche personalità.

Ormai ci siamo abituati alla mentalità greca, tranquilla e cortese, e al modo di comunicare con loro. La fatica fisica ci fa ancora soffrire di notte per i vari dolori muscolari che però iniziano ad attenuarsi.

Possiamo sbilanciarci con un giudizio generale: il panorama è magnifico, le persone sono molto cordiali, la compagnia di viaggio è interessante e piacevole…quindi…. CI STIAMO DIVERTENDO UN MONDO!!

sabato 30 giugno 1990

GREECE '90 - 4° Tappa: "Alziamo le mani"

CAPITOLO V - Sabato, 30 giugno 1990

Tragitto: KYPARASSIA-KALAMATA

Chilometri percorsi parziali/totali: 71/312

VIAGGIO SENZA INTOPPI PARTICOLARI. SBALORDITIVA LA SITUAZIONE E L’ATTIVITÀ’ DELLA POLIZIA.

CRONACA:

Partenza nelle solite condizioni sconsigliate: sotto il sole delle 11.30 ed a stomaco pieno. Si sa, le regole sane non ci entrano in testa. Il percorso di oggi ci porta nell’entroterra peloponnesiaco caratterizzato da un ambiente brullo, roccioso con una crescente quantità di ulivi. I muri a secco disegnano in modo geometrico le alture nelle cui vallate noi pedaliamo con facilità e spensieratezza.

Ci concediamo qualche sosta nelle vicinanze di posti reputati “interessanti” per scattare qualche foto ricordo. Infine, dopo tre ore e mezza di pedalate quasi anonime penetriamo il più grande centro di produzione e del commercio di olio d’oliva dell’intero Peloponneso: Kalamata, una città moderna in confronto ai paesini di poche anime incrociati in precedenza. Qui frotte di turisti sono alla frenetica ricerca della spiaggia da sogno, con acque cristalline e pasti a base di pesce nei ristorantini distribuiti sul lungo mare. Noi due fetidi vagabondi, più simili all’essere animale rispetto alla gente per bene che sfila sui marciapiedi, stoniamo in mezzo a questa folla.

La scelta del campeggio risulta questa volta mal riposta: il nostro "manuale-dei-consigli" per la scelta dei campeggi ci indica una struttura altamente moderna ad un prezzo, forse, troppo economico, che riscontra sì l’effettivo basso costo del servizio offerto, ma lo stesso non è decisamente all’altezza delle aspettative manifestate nel manuale. Pazienza, abbiamo passato di peggio. Montiamo la tenda, attività in cui siamo ormai esperti, e finalmente chiamiamo a casa, la prima volta da quando abbiamo lasciato Patrasso. Raccontiamo alle nostre famiglie che per effetto di una serie di eventi nefasti - non meglio precisati ed omettendo accuratamente qualche particolare oggetto di sicura ansia genitoriale (vedi la 1° tappa) – abbiamo subìto delle perdite, che, ricordiamo, si riepilogano principalmente nei biglietti di ritorno del traghetto e nel mazzo di chiavi di casa di Marc.

Seguendo i consigli dei nostri genitori ci precipitiamo in centro alla ricerca di una Stazione di Polizia in cui effettuare la denuncia di smarrimento, necessaria per un tentativo di rimborso dei biglietti del traghetto una volta rientrati in patria. La ricerca si scopre essere più ardua del previsto a causa della complicata identificazione del’edificio strategicamente mimetizzato tra i lidi balneari sul lungomare. Entriamo in questo condominio fatiscente, pericolante e semideserto, alla difficile ricerca di un “tutore dell’ordine”. Individuato il soggetto, ha così inizio l’odissea per la redazione della denuncia che rasenterà il limite dell’inverosimile: veniamo accompagnati in una stanzetta, più simile ad uno sgabuzzino, sia per misura sia per ordine, in cui un poliziotto con camicia d’ordinanza aperta all’ombelico e pelliccia naturale sgargiante in bella vista ci fa accomodare su due sgabelli in legno. Entra un collega che gli dice qualcosa, e lui, tirando su la cornetta di un vecchio telefono a disco e schiacciando in sequenza rapida e con violenza i due tasti posti sulla forcella, infine attacca il telefono imprecando, chiaro segno che il telefono non funziona. Iniziamo bene…

La spiegazione di voler effettuare una denuncia si fa sin da subito difficile a causa dei problemi di lingua. Non si capisce se il poliziotto abbia compreso le nostre intenzioni, ma crediamo sia sulla buona strada quando lo vediamo girare per qualche minuto per l’ufficio in cerca di qualcosa. Ad un tratto eccolo trovare un pezzo di carta mezza sgualcita e ingiallita dal tempo e dall’umidità, sul quale, crediamo, voglia riportare la nostra denuncia. Quando lo vediamo prendere in mano una penna a sfera (di macchine da scrivere nemmeno l’ombra, figuriamoci di un computer) e scrivere con l’alfabeto greco, solo allora, dopo un iniziale sbigottimento, comprendiamo l’inutilità della nostra attività: cosa potremmo mai fare di una denuncia illeggibile (nemmeno utile per una traduzione giurata considerata la pessima calligrafia e le molteplici cancellazioni e correzioni), in cui non possiamo nemmeno verificare l’autenticità di ciò che noi abbiamo riportato?? Firmiamo quello che reputiamo possa essere la nostra denuncia, la cui copia il poliziotto si accinge subito ad archiviare, ahinoi, in un cassetto zeppo di cartacce ed usciamo dalla “caserma”…speriamo di non dover più ripetere una simile esperienza in futuro…

Nel tardo pomeriggio ci trasformiamo in tifosi appassionati del calcio che viene giocato nella nostra madrepatria: siamo ai quarti di finale e dopo un Argentina-Jugoslavia finita, 3-2 ai rigori con un grande Goycochea, in tarda serata (alle 10 iniziano le partite) diventiamo fanatici tifosi per la migliore squadra del mondo in Italia-Eire conclusa con un gol tempestivo e risolutore del solito neo-capocannoniere Schillaci.

COMMENTO:

Abbiamo iniziato a leggere con una certa facilità l’alfabeto greco e il linguaggio ci sembra giorno dopo giorno sempre più familiare, anche se resta incomprensibile. Marc ha inoltre iniziato a leggere il libro che narra le leggende che riguardano la mitologia greca, dalla sua nascita all’avvento romano. Storie dall’atmosfera affascinante che Marc riesce a trasmettermi con il suo solito modo coinvolgente di raccontare. In conclusione, stiamo apprezzando fin nei minimi dettagli il luogo che ci ospita in questa nostra avventura, nonostante alcune note negative che però caratterizzano momenti di postuma ilarità.

giovedì 28 giugno 1990

GREECE '90 - 3° Tappa: "Sotto Questo sole è bello pedalare, sì..., ma c'è da sudare"












CAPITOLO IV - Venerdì, 29 giugno 1990
Tragitto: OLYMPIA-KYPARASSIA
Chilometri percorsi parziali/totali: 62/241
ELEVATA PERDITA DI SUDORE E SETE INARRESTABILE IN UNA DELLE GIORNATE PIÙ CALDE E AFOSE DELLA NOSTRA VACANZA, NON OSTACOLANO PERÒ IL PERCORSO TRANQUILLO E REGOLARE. LA FATICA È DECISAMENTE CONTENUTA, C’È UNA LIETA SORPRESA AL CAMPING.

CRONACA:
Tutto sembra essere tornato alla normalità, o almeno a ciò che noi intendiamo per normale. Una normalità che però toglie quel gusto frizzante che trasmettono le emozioni forti. Siamo indietro di un giorno rispetto al nostra tabella di marcia. Non è una perdita grave, in quanto ci è servito per scoprire cosa si cela dietro al famigerato termine di “strade secondarie” della Guida Touring in prossimità di colline o montagne. La lezione ci permette ora di ridefinire un nuovo tragitto eliminando quei tratti considerati a rischio e pianificando un nuovo percorso che speriamo sia più agevole.
Ci svegliamo di nuovo dopo una notte di dormiveglia a causa della presenza di una fattoria vicina. I vari versi degli animali, gallo all’alba in primis, non ci permettono nemmeno stanotte un riposo decente. Si è già fatto tardi (come al solito) e mentre saldiamo il conto del campeggio facciamo la conoscenza di una famiglia trevigiana che si accinge, come noi, a girare il Peloponneso in camper: quello che rende particolare questo incontro è il fatto che incontreremo la stessa famiglia altre 5 volte lungo il nostro viaggio e saranno determinanti in una parte importante delle “vacanza”.
Discesi da Olympia il viaggio prosegue finalmente in pianura. Costeggiamo il versante occidentale della penisola greca, costantemente accompagnati da chilometri di spiaggia, libere e deserte. Il mare, calmo e di un blu intenso, ci ammalia e ci attira sempre di più con il passare delle ore.
Per pranzo, è già il primo pomeriggio, ci fermiamo in una piazzola lungo la strada “provinciale”, la stessa in cui si era fermato un furgone che trasporta angurie. Quale miglior occasione per rinfrescarsi senza appesantirsi troppo: sarà stato il nostro aspetto disidratato e pietoso (ricordo che avevamo 16 anni ed eravamo magrolini), in ogni caso l’autista sembra impietosirsi e così ci regala una delle sue preziose gemme verdi dal cuore rosato, nonostante gli avessimo chiaramente espresso le nostre intenzioni di volerla acquistare. Contenti come bambini di fronte ai regali di Natale, ci sediamo sul ciglio della strada e guardiamo l’immensa anguria: “e mo’, come la apriamo?!”. Nessun problema, ormai abbiamo abbandonato le buone maniere e ci quasi ci piace essere tornati primitivi…quindi come tali ci comporteremo: spacchiamo il frutto a metà buttandolo con precisione chirurgica sul bordo della strada ed ognuno si sazia e si disseta con la propria porzione affondando le mani nella polpa, portandole voracemente alla bocca. Ah, che dolce l’anguria, anche se, ahimè, non la possiamo di certo definire fresca, considerando che fino a qualche minuto prima si trovava in viaggio sul dorso di un camion, sotto il sole!! Comunque ci voleva proprio. Ci siamo rigenerati e siamo pronti per proseguire.
Una spiaggia infinta ci accompagna per tutto il viaggio e quando vediamo il sole avvicinarsi sempre più all’orizzonte delimitato dalla riga netta del mare, non resistiamo più alla tentazione: alla prima occasione, bici in spalla (si fa per dire), ci fiondiamo verso le onde e ci concediamo finalmente un bagno rifocillante e qualche minuto di riposo.
Ci voleva proprio. Ci sentiamo felici: stiamo facendo la nostra vacanza tanto attesa, soli, in bici, e abbiamo avuto le prime avventure da cui siamo usciti (quasi) indenni, abbiamo già visitato una delle città più conosciute della storia greca e ci siamo concessi un bagno tra le acque azzurre su una spiaggia deserta. E adesso siamo in sella alla nostra bici in compagnia di un sole rosso che si sta lentamente immergendo nel mare. Un’immagine poetica che non dimenticheremo così in fretta.
Giungiamo a Kalo Nero ed al bivio in cui avevamo programmato di proseguire verso l’entroterra decidiamo invece di cambiare percorso proseguendo diritto verso Kyparissia, dove, abbiamo letto, ci dovrebbe essere un buon campeggio “vista mare”. Il sole è appena calato quando raggiungiamo la destinazione, giusto in tempo per trovare una piazzola prima che sopraggiunga la notte.
Una lieta sorpresa ci attende al campeggio: i proprietari sono tedeschi-olandesi…finalmente compatriotti di Marc con cui parlare e soprattutto a cui chiedere informazioni sulle condizioni della viabilità dei tragitti futuri, in modo da riprogrammare più sapientemente il percorso.
COMMENTO:
Molto lentamente sta facendo ingresso la noia per la mancanza di emozioni forti, ma il magnifico panorama greco riesce a contenere egregiamente questa pericolosa sensazione. Felicità esplosiva nel poter finalmente dialogare con qualcuno che conosce il luogo senza l’uso di gesti. E’ mai possibile che 6 lingue non siano sufficienti per comunicare, qui??

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 5 - Omi

     Prendiamo il volo come da programma, atterriamo a Monaco di Baviera e per prima cosa cerchiamo il desk del tour operator. Sorvolo sulla...