domenica 1 luglio 1990

GREECE '90 - 5° Tappa: "Go Tell It On The Mountain"

CAPITOLO VII - Lunedì, 2 luglio 1990

Tragitto: KALAMATA / KARDAMYLI

Chilometri percorsi parziali/totali: 39 (di cui 2 in auto)/351 (di cui 2 in auto)

GIORNATA SCALFITA DALLE SOLITE FATICHE EROCOLINE E DA VARIE SORPRESE PIACEVOLI E MENO PIACEVOLI. BAGNO RISTORATORE E PRIMA TRAGICA ESPERIENZA DI PESCA, CON CONSEGUENTE CENA A BASE DI FRUTTA.

CRONACA:

Oggi ci svegliamo presto, alle otto e mezza. Avendo recuperato le energie nel giorno di riposo, ci sentiamo pronti a riprendere la nostra avventura. Mentre paghiamo la tassa per il campeggio, più per curiosità che per necessità, ci informiamo sulla viabilità del nostro tragitto odierno. Le notizie sono terrificanti: la strada diretta da Kalamata a Mystras (vicino a Sparta), circa 60 km, si preannuncia un’impresa impossibile da fare in bici. La direttrice del campeggio, segnalandoci prima sulla cartina il percorso tortuoso tra le cime montuose ed in seguito indicandoci con la mano la direzione tra le enormi montagne che si innalzano di fronte a noi per oltre mille metri, ci fa definitivamente apprendere come le tranquillizzanti indicazioni del nostro Prof. Hamann, che ci confermava che detto percorso non sarebbe stato così difficile come sarebbe potuto sembrare sulla cartina (probabilmente perché lui l’aveva attraversato in macchina?!), siano completamente inaffidabili.

Facciamo un improvviso ed alquanto drastico cambiamento dei piani: preferiamo allungare il tragitto sperando in percorso più bike-friendly.

Al bivio che troviamo alla fine di Kalamata, ci dirigiamo a sud, verso Kardamyli, un tratto di strada di una quarantina di chilometri che prevediamo sia relativamente pianeggiante, ma che con nostra sorpresa cambia tragicamente dopo i primi dieci chilometri percorsi costeggiando in piano il mare: dopo aver superato Mikri, la strada gira improvvisamente verso est addentrandosi nell’entroterra montuoso della penisola Messenica. Anche se le cime circostanti non superano i seicento metri, i successivi trenta chilometri, scopriremo in seguito, saranno un alternarsi di salite madornali, lievi discese e finti piani, tutte condizioni che rendono il tragitto più faticoso del previsto. Tra imprecazioni e parolacce colorite, affrontiamo nuovamente turbati la nostra sfortunata sorte. Fortunatamente il paesaggio è davvero suggestivo e ciò ci permette di distrarci frequentemente dai nostri sforzi.

Superiamo i primi chilometri in salita e raggiungiamo quasi i duecento metri di altezza. Siamo già sudati fino al midollo, il sole ci ustiona il collo nonostante i berretti e la meta ci sembra ancora irraggiungibile.

La strada è molto trafficata, e tra i vari mezzi che incrociamo ecco apparire nuovamente la famigliola trevigiana. Ci raggiungono a velocità modesta con il loro camper super-mega-lusso e appena ci scorgono, si accostano per informarsi sulle nostre condizioni fisiche, sulle nostre avventure ed i nostri progetti della giornata. Mentre li ragguagliamo, ci offrono gentilmente da bere, ma la loro apprezzata disponibilità aggrava la nostra flebile condizione: infatti, con l’intento di alleviarci la sete, ci porgono un bicchierino di Fanta (vorremmo evidenziare in modo particolare le misure ridotte del contenitore). Ingurgitiamo avidamente la bevanda e quello dei trevigiani sarebbe stato un gesto sinceramente apprezzato, se non fosse che la Fanta in questione, oltre ad essere dolcissima, misura la medesima temperatura dell’ambiente circostante. L’effetto su di noi è devastante, con il nostro corpo in conflitto con l’istinto di rimettere e l’espressione di gratitudine che cerchiamo faticosamente di mostrare. Anche se lo desideriamo, non osiamo chiedere un passaggio d’emergenza sul camper per il percorso restante, e loro non ce lo propongono, pertanto ci salutiamo, ringraziandoli, ed ognuno prosegue, ahinoi, per la propria strada.

Passano le ore ed il sole si posiziona allo Zenit. L’afa e la mancanza di liquidi ci hanno stremati. Quando ci troviamo a dover affrontare l’ennesima salita, decidiamo di spingere le bici, in modo da alternare per un po’ l’utilizzo dei muscoli rispetto a quelli utilizzati nelle pedalate. La fatica non è minore e la scomodità di tenere in equilibrio un mezzo che viene sbilanciato con facilità dalle sacche appese su entrambi i lati della bici, rende quasi più ardua l’impresa.

Nel frattempo, tanto per distrarci dai dolori muscolari, decidiamo di salutare tutte la macchine che incrociamo, alternando i saluti nella lingua abbinabile alle targhe che riconosciamo. E’ un giochetto che ci conduce spesso ad essere ricambiati con sorrisi e cortesia, ed in alcuni casi a gesti di puro volontariato: una coppia di romani, per esempio, interpreta il nostro saluto come una richiesta di aiuto e colti dall’inarrestabile istinto altruista ci offrono un pacchetto di biscotti. Ringraziamo, e mentre loro ripartono augurandoci tanta fortuna - condizione di cui siamo al momento fortemente carenti -, decidiamo di fare una breve sosta per rifocillarci.

Apriamo il pacchetto di biscotti, la nostra unica nostra risorsa alimentare. Infatti lungo le strade costiere del sud della penisola peloponnesiaca, difficilmente si trovano punti di ristoro se non nei paesini moderatamente organizzati…e ce ne sono pochi e distanti tra loro. Quindi, in questo momento, i biscotti sono considerati una manna dal cielo. Ci buttiamo bramosamente sui frollini prima di renderci conto che la saliva fa da collante con le briciole, rendendo pastoso ed appiccicoso l’intero intruglio. I pezzi iniziano ad incollarsi irrimediabilmente ai denti ed al palato, consentendoci di poter regalare ai successivi viaggiatori che incrociamo dei sorrisi davvero indimenticabili.

Il viaggio prosegue ed il caldo ci spreme il sudore da ogni poro. I biscotti, pur se graditi, non hanno minimamente soddisfatto il nostro appetito e la temperatura invivibile dell’una ci obbliga a fermarci per un’altra sosta. La fame ci sprona e ci guida fino ad un piccolo paesello sperduto, senza insegna e con una manciata di cascine. Chiediamo a delle ragazze, tra i venticinque e i trent’anni che incrociamo sul ciglio della strada, l’indicazione per un punto di ristoro e loro gentilmente ci accompagnano ad una piccola trattoria. Scopriamo che sono tedesche e ci fanno più o meno compagnia per tutto il tempo che mangiamo. Onestamente, non sappiamo come interpretare la loro presenza. Non comprendiamo, per esempio, se la loro esagerata disponibilità e gli eccessivi sorrisi pure nel momento del pasto abbiano altre finalità. Pur se non munite della tipica bellezza teutonica si presentano molto disinibite e decisamente provocanti. Onde evitare situazioni imbarazzanti, paghiamo il ristoratore e riprendiamo il viaggio salutando le simpatiche donzelle.

Lo ore passano in fretta tra ripide salite e rapide discese fino a quando, totalmente esausti nonostante il di per se breve tragitto, diamo segni di squilibrio facendo l’autostop pur pedalando, nella speranza di incrociare qualcuno disposto ad aiutarci. Testa bassa, prima marcia inserita, braccio sinistro teso e pollice verso.

Per molto tempo nessuno si ferma, fino a quando il nostro sadico destino si distrae brevemente, permettendoci di avere nuova fiducia nel futuro: un signore greco, munito di un pick-up decisamente datato, si ferma ed in un lingua mista e congiunta di gestualità e termini fonici casuali, comprende che chiediamo di essere accompagnati a Kardamyli. Inizialmente resta sbalordito dalla richiesta, non certo di aver compreso, ma successivamente ci offre il passaggio con molto piacere.

Carichiamo faticosamente le biciclette sul furgoncino e partiamo sedendoci nella cabina insieme al nostro benefattore. Per tutto il breve viaggio il tizio ci racconta, in un semi greco-italiano, che in passato è stato in Italia e che lì ha incontrato una donna bellissima, con la quale ha passato dei fantastici momenti e della quale conserva ancora il numero di telefono. Ascoltiamo sempre annuendo in segno d’interesse, anche se non garantiamo di aver compreso ogni singolo dettaglio. Giungiamo infine a destinazione, scarichiamo i nostri mezzi e ringraziamo con sincera gratitudine il soggetto.

Ci dirigiamo verso uno dei tre campeggi elencati nella nostra bibbia-di-viaggio e lì, con nostra sorpresa, incontriamo nuovamente i trevigiani con il loro camper. Anche loro sono arrivati da poco e si sentono moralmente battuti non comprendendo come abbiamo potuto raggiungerli in così poco tempo. Ci concediamo per un breve periodo di sfruttare il nostro segreto vantandoci invece delle nostre ciclopiche imprese con sfrontata modestia.

Montiamo in tutta fretta la tenda sotto un ulivo, tra rocce e radici, ci mettiamo il costume ed andiamo ad immergerci nelle fredde acque dell’Egeo per rinfrescarci.

Nel tardo pomeriggio ci dirigiamo in paese per fare la spesa: dopo tanti giorni passati a mangiare cibi che alzano spaventosamente il livello del colesterolo la scelta cade sulla frutta, così ammaliante ed appetitosa. Ne compriamo così tanta che il budget giornaliero non ci permette di acquistare nulla di “extra”. Il menu propone quindi: cocomero, melone, pesche, alcune albicocche, prugne, ecc..

Al tramonto decidiamo di darci alla pesca, improvvisando un’improbabile canna da pesca, costituita solo da un misero legnetto con uno filo di nylon. Il compassionevole amo ondeggia per l’aria in assenza del numero sufficiente dei fondamentali piombini. Diciamolo, l’attrezzatura portata da casa non garantirà di certo un ricco bottino. L’unica sventurata preda che riusciamo infatti a catturare dopo oltre un’ora di attesa è un innocuo e coloratissimo pesciolino, preso letteralmente e per pur casualità, per il naso.

Concludiamo la serata con le solite chiacchiere, racconti, e confessioni per poi coricarci nelle tende. Anche i “letti” iniziano a dare meno fastidio, dopo i vari giorni di adattamento:

prima di partire per questa avventura, nella nostra inesistente esperienza di vita da campeggio, contestualmente all’acquisto della canadese non abbiamo valutato la necessità di procurarci anche dei materassini, ad acqua o di gomma, confidando nei ricchi prati verdi e tipici della Grecia, come avevamo sempre identificato nelle immagini di Pollon, in cui fitte boscaglie si alternavano ad ampi prati in fiore…ebbene, dopo ormai una settimana di vita “rurale” in cui l’unico separatore tra il nostro corpo e la terra era la sottile plastica della base della tenda, sia le nodose radici, sia i più spigolosi sassi vengono ora selezionati al momento del montaggio della tenda. Ormai ci basta un colpo d’occhio. Simulando la posizione notturna valutando in anticipo i punti di pressione: “…allora, quel sasso si posiziona tra la quarta e la quinta costola, mentre quella sporgenza si incastra perfettamente con l’anca, in quella buca ci metto le spalle e la testa la appoggio su quella comodissima radice di ulivo…direi che ci siamo!”.

E poi ci stupiamo perché al mattino ci svegliamo ancora stanchi e con gli arti atrofizzati.

COMMENTO:

Stiamo iniziando ad accusare il colpo dell’insoddisfazione: oltre a Olympia non abbiamo visto altri siti ed il continuo cambio di programma, dovuto a difficoltà superiori del previsto seguito dalle medesime fatiche che abbiamo tentato invano di evitare, incrina la nostra volontà. Fortunatamente il panorama è davvero mozzafiato da queste parti, con un alternarsi di colline rocciose tempestate di ulivi e golfi azzurri abbracciati da tentacoli di pinete.

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