martedì 3 luglio 1990

GREECE '90 - 6° Tappa: "Il Lato Oscuro della Sfiga"

CAPITOLO VIII – Martedì, 3 luglio 1990

Tragitto: KARDAMYLI / AREOPOLIS / GYTHIO

Chilometri percorsi parziali/totali: 71 (di cui 20 in auto)/421 (di cui 22 in auto)

GIORNATA ALL’INSEGNA DELLA SFORTUNA PIÚ TOTALE: TRAGITTO IMPERVIO, SOPRESA ALLE GROTTE DI AREOPOLIS E COSTO INTUILE DEL TAXI….E, INFINE, IL DISASTRO AI MONDIALI IN ITALIA-ARGENTINA. IL LATO OSCURO DELLA SGIFA SI È IMPOSSESSATO DEFINITIVAMENTE DI NOI

CRONACA:

Dopo una straziante notte tra i soliti assordanti versi delle cicale ed il rombo di motori, apriamo gli occhi e tentiamo di riappropriarci dei nostri arti, che essendo diventati autonomi, non reagiscono al nostro volere: la perdurante pressione di una roccia sulla spalla ha praticamente “necrotizzato” il mio braccio e mi impedisce di utilizzare l’arto per alzarmi. Ci vogliono diversi minuti prima che il sangue riprenda a circolare regolarmente nei vasi sanguigni del braccio, ridandogli nuova vita.

Sono le otto e siamo ancora completamente, irrimediabilmente e costantemente rincoglioniti, ma nulla ci può fermare, siamo pronti per affrontare un’altra grande sfiga…ehm…sfida!!

La meta di oggi si rileva sì faticosa, ma fattibile. Vorremmo raggiungere Areopolis per poter tagliare da lì la penisola Messenica e dirigerci verso Gythio sulla costa orientale del tridente peloponnesiaco centrale. Areopolis è quindi una tappa intermedia imprevista che abbiamo scelto per poter visitare le grotte di cui ci hanno parlato molte persone locali. La curiosità ha quindi determinato il tragitto.

Proseguiamo con regolarità, prima passando in pianura quei tratti che costeggiano il mare ed in seguito su e giù per le basse montagne.

A sette chilometri da Areopolis affrontiamo una delle discese più insidiose mai incontrate: un lunghissimo rettilineo con una pendenza micidiale ci fa schizzare l’adrenalina fin dentro il midollo. Io e Marc, fermi prima del precipizio, ci guardiamo. Un sorriso complice esprime la cosciente incoscienza ed il perfetto allineamento mentale:

“Si va?”, “Certo….e senza frenare!!”, “Speriamo solo che non si smonti la bici!!”, “Ah, ah, ah,…vince chi non casca!!” scherziamo ironicamente prima di spingere con grinta sul pedale per acquisire più velocità possibile prima della discesa.

Con la schiena incurvata pedaliamo fino a quando la velocità inerziale supera quella ottenibile dalle nostre gambe ed il contachilometri di Marc inizia ad invadere la zona rossa del quadrante per poi bloccarsi definitivamente sui 70km/h, termine massimo di fabbrica consentito dal tachimetro. Il manubrio vibra violentemente e la borse sul portapacchi posteriore ondeggiano quanto basta per rendere più difficile mantenere l’equilibrio perfetto. Osservo la ruota anteriore girare ad una velocità mai vista prima d’ora emettendo un fortissimo ronzio della gomma sull’asfalto. “Fai che non si buchi proprio ora….!”, penso con quel minimo di razionalità che mi è rimasta.

Giungiamo indenni alla fine della discesa. Abbiamo appena fatto qualche centinaio di metri ad un velocità che difficilmente riusciremo a replicare. L’adrenalina ci fa urlare a squarciagola per l’esperienza appena passata ed i successivi minuti vengono accompagnati da risate tipiche da chi è conscio di aver superato ostacoli potenzialmente “letali”.

La gioia e l’azzardo hanno però il loro prezzo, a maggior ragione per noi qui in Grecia: non abbiamo percorso nemmeno tre chilometri in compagnia del fragore del mare che, appena la strada svolta verso destra evitando il versante sulla sua sinistra, ci si presenta invece una salita interminabile con solo un paio di tornanti, necessari per raggiungere i trecento metri di dislivello. Parrebbe che manchino poco più di quattro chilometro ad Areopolis, ma dopo aver disperso le ultime energie con lo sfogo di adrenalina di poco prima, questa fatica ci sembra impossibile da poter essere superata.

Inseriamo la prima marcia, quella della velocità a passo d’uomo, ed iniziamo a pedalare.

Dopo neanche un chilometro in poco meno di mezz’ora e sotto il solito sole cocente, Marc inizia a dare i primi segni di squilibrio mentale, canticchiando una canzoncina olandese che ricorda molto le note della canzone dei pirati con i suoi “quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto”. Ci manca solo di scorgere un avvoltoio disegnare ampi cerchi sopra le nostre teste ed il panico avrebbe iniziato a prendere il sopravvento.

“Dai, manca solo un chilometro alla meta”, grido a Marc esortandolo, “non molliamo!”.

All’ennesimo tornante con curva a gomito, noto come Marc sia rimasto molto indietro ed arranca con estrema fatica. Anche io ormai sono all’estremo delle forze ed il sudore ha completamente impregnato i miei indumenti. Il caldo asfissiante non mi permette di riprendere un fiato ristoratore, anzi aumenta la mia necessità di aria e di bere qualcosa di fresco, ma nelle nostre borracce c’è solo acqua calda.

Senza alcuna minima possibilità di trovare un ristoro sotto l’ombra e con i muscoli doloranti dalla fatica, mi fermo sull’argine della strada sedendomi sull’asfalto che emana un calore inenarrabile, braccia incrociate sulle ginocchia e testa china verso il basso nel tentativo di recuperare le forze. Le gocce di sudore mi entrano negli occhi facendomeli bruciare e non so come asciugarmi, visto che sono completamente lavato.

Osservo Marc che mi sta raggiungendo, ma noto che è in riserva. Non ce la fa davvero più, si ferma vicino a me e chiede un po’ di pausa. Il caldo però è insostenibile e allora decido di procedere da solo per valutare quanto effettivamente manchi alla meta, in modo da poter poi ritornare da Marc ed incentivarlo a dare l’ultimo sforzo. Lui acconsente, e così mi avvio con l’acido lattico che mi brucia nelle gambe e le tempie che non smettono di pulsare sangue caldo.

Non ho ancora fatto duecento metri in prima e con i muscoli in fiamme, che sento avvicinarsi un’automobile alle mie spalle. Non ne passano molte, oggi.

Mi supera e non le avrei nemmeno degnato di uno sguardo, se non fosse che ho notato che al finestrino del lato passeggero si era arpionato con una mano quel moribondo di Marc.

Mentre mi sorpassa mi saluta, sorridendo, con un innocente “Ciao, ci vediamo ad Areopolis…!”.

Resto a bocca aperta: dei connazionali olandesi, vedendolo sull’argine della strada e comprendendo la sua necessità, gli avevano offerto uno strappo offrendogli di aggrapparsi alla macchina. E così ha fatto.

Fortunatamente, girato l’angolo, un’ampia curva sulla cresta della montagna, intravedo Areopolis e la strada che diventa pianeggiante. Marc è lì sorridente che mi aspetta. Sono felice per lui, anche se dentro di me l’invidia lotta con la comprensione.

Il paese è semideserto probabilmente per l’ora calda. È un borgo di poche case costituito principalmente da case in pietra: sono costruzioni squadrate, realizzate a secco, molto caratteristiche e diverse dai più frequenti e classici edifici intonacati di bianco con finiture e tetti in blu. La posizione del paese è strategica: alle spalle troneggia un ampio altopiano mentre l’Egeo avvolge il promontorio su cui si trova Areopoli.

Siamo troppo affamati e disidratati per poter visitare i vicoli. Preferiamo dirigerci direttamente verso le grotte per poter trovare lì un po’ di ristoro dalla calura soffocante. Inforchiamo alcuni bivi seguendo la segnaletica che ormai si limita ad indicare le località solamente con l’alfabeto greco. Con le ultime forze raggiungiamo il sito. Notiamo stranamente che c’è poca gente in giro, nessuna coda alla biglietteria.

“O siamo fortunati oppure le grotte fanno schifo” sentenzio senza troppi complimenti. Purtroppo né una né l’altra opzione sono il motivo di tale desolazione, che avremmo di gran lunga preferito rispetto all’amara scoperta che abbiamo dovuto apprendere. Ci avviciniamo alla biglietteria. Un cartello solitario scritto a mano in greco ed in inglese domina la bacheca. Una sola parola, ma che non permette fraintendimenti: “STRIKE”…sciopero!

Io e Marc ci guardiamo. Non possiamo crederci. Restiamo inizialmente senza parole, poi partono alcune imprecazioni che però si perdono nell’aria per mancanza di forze. Siamo ancora sotto il sole ed il bar è chiuso anch’esso, così come l’ingresso alle grotte. “Cosa facciamo?” ci chiediamo. Raccogliamo le nostre ultime energie e torniamo ad Areopoli, un percorso che, per ironia della sorte, affrontiamo ovviamente in salita.

Stremati troviamo una locanda in cui ci rifocilliamo il minimo possibile per non compromettere il resto del viaggio. Dobbiamo infatti raggiungere Gythio sulla costa orientale della penisola Messenica, circa venticinque chilometri ad est. Lì abbiamo già identificato un campeggio che è segnato sulla guida come “MOLTO BUONO” e che dovrebbe quindi essere ben servito, con ampie piazzole e soprattutto molta, molta ombra.

Quando ripartiamo l’acido lattico ha iniziato a devastare il nostro corpo aggredendo i muscoli delle gambe e delle braccia che a fatica reggono il nostro peso: l’ultima salita le ha indebolite a tal punto che a stento riusciamo a controllare il manubrio. Partiamo fiduciosi che il tragitto restante sarà più gradevole dovendo raggiungere il mare, ma contrariamente alle nostre iniziali aspettative, la strada si avvia nuovamente in salita.

Percorriamo solo qualche centinaio di metri in direzione dell’altopiano senza poter vedere come potrebbe proseguire la strada una volta raggiunto il crinale e siccome in questa giornata la sfortuna domina sghignazzante alle nostre spalle, ci rendiamo subito conto che è inutile sperare in una discesa dopo la curva.

Ci arrendiamo, gettiamo la spugna, ormai lo scoraggiamento ha tolto le ultime energie. Ci guardiamo spossati, ansimanti e pronti a svenire. “Autostop?”, chiedo a Marc. Annuisce. Solo che non passano macchine. “Torniamo ad Areopoli e vediamo se lì qualcuno ci può aiutare o dare un passaggio”, mi consiglia Marc.

Facciamo inversione e ripercorriamo il nostro breve tragitto fino al paese. Non c’è anima viva. Ad un tratto, girando senza meta per le poche vie, notiamo un taxi.

“Ma quanto ci costerà?” ci chiediamo.

“Ci costerà un occhio dalla testa! Piuttosto rinunciamo ad un pasto, ma io non me la sento più di affrontare un’altra salita!” Su questo siamo perfettamente d’accordo.

Individuiamo l’autista fermo su una veranda che ci osserva senza troppa attenzione. Con qualche gesto gli facciamo intendere che vorremmo usare il suo servizio, ma il suo sguardo sbigottito ci allarma. Come fargli capire che anche se dotati di due ruote, preferiremmo usare le sue più comode quattro ruote, soprattutto perché dotate di un motore?

In uno scambio convulsivo di segni tipici dei giocatori di “Tabu”, concludiamo alzando la bici mostrandogli che vorremmo metterla nel portabagagli. Finalmente comprende la nostra necessità. Incredulo per la richiesta insolita, l’autista acconsente con cortesia e dopo diversi tentativi di deporre entrambe le bici nel vano bagagli previo alleggerimento delle stesse togliendo tutto il corredo di borse, tende, zaini e altro, siamo pronti per partire.

Il giochetto del taxi ci costerà parecchio. Il prezzo concordato, anche se economico rispetto a quelli applicati alla nostra città, per le nostre misere condizioni finanziarie sono un salasso. D’altra parte, pur di beffare la sfortuna, siamo disposti a pagare.

La nostra arroganza viene però puntualmente punita: dopo aver percorso il tratto di strada che puntava all’altopiano, una volta superato il crinale, che poco prima avevamo quasi raggiunto prima di abbandonare l’impresa, la strada si inabissa in una sequenza di tornanti tutte in discesa. Praticamente percorreremo gli ultimi venti chilometri che ci separavano da Gythio con la consapevolezza di aver gettato alle ortiche i nostri fondi. Nelle nostre teste sentiamo uno strano sghignazzo ed una voce fioca che bisbiglia vigliacca: “Che la sfiga sia sempre con voi!”

Impieghiamo circa venti minuti per discendere dalla montagna nel silenzio più totale. L’autista è un signore sui quaranta o cinquant’anni. Un signore di poche parole, forse perché le difficoltà linguistiche rendono più ardua la comunicazione tra di noi. Ha una particolarità sulla quale in seguito scherzeremo spesso. È vittima di un tic curioso, che gli fa sobbalzare il bacino in avanti come in un atto amoroso. Standosene seduto sul suo sedile lo osserviamo mentre a più riprese e senza alcun preavviso saltella ad un ritmo irregolare. Io e Marc ci guardiamo trattenendo con fatica un sorriso traditore.

Raggiungiamo il campeggio, il Meltemi Camping, pochi chilometri da Gythio. Paghiamo profumatamente il tassista e ci inoltriamo nel lungo viale sterrato che taglia in due l’enorme terreno di proprietà del campeggio. Espletate le formalità iniziali, troviamo una piazzola finalmente in pianura e con poche radici e solo qualche sasso. Montiamo la tenda e facciamo la spesa nel piccolo ma ben rifornito supermercato del camping dove per la prima volta assaggiamo il rinomato yogurt greco.

Il campeggio è ben organizzato: alberi di ulivo e di carrube sono stati piantati con regolare distanza permettendo ordinate piazzole di varie misure, adatte sia per le tende sia per i grandi camper che occupano gran parte della zona “vista mare”. La reception, una casetta indipendente costruita sulla sinistra alla fine del viale sterrato, accoglie i clienti un ampio atrio e i gestori tedesco-olandesi non si risparmiano sorrisi e cortesia. Il caseggiato viene accompagnato da un edificio più grande, in cui convivono un piccolo ristorante ed il supermercato. Tutto attorno all’edificio un bel porticato ospita grandi tavoli di legno con panchine che si possono utilizzare liberamente per qualsiasi necessità. Percorrendo infine il vialetto e superando il recinto del campeggio si giunge alla spiaggia. Sabbia fine si estende per chilometri su entrambi i lati ed il mare taglia l’orizzonte. Tutto sommato abbiamo trovato un nuovo paradiso.

Non abbiamo la forza per fare un bagno, così ci corichiamo un po’ prima della grande sfida delle semifinali dei mondiali di calcio: Italia-Argentina.

Purtroppo la giornata funesta finisce nel peggiore dei modi con la nostra nazionale eliminata ai rigori e le beffe esplicite ed indimenticabili dei turisti tedeschi, che temevano la finale con la Germania. È la prima volta che mi pento di essere tedesco. Ci vorrà un po’ per farmi passare quella sensazione.

Per oggi basta, abbiamo grattato il fondo. Speriamo che il giorno seguente sarà migliore. Abbiamo comunque deciso di fermarci almeno un giorno per recuperare le forze.

COMMENTO:

Per la prima volta abbiamo avuto la consapevolezza che ad affrontare questa avventura siamo in tre, in quanto la “sfiga” è una compagna che ci scorta senza tregua. Cominciamo ad essere stanchi di questi continui sforzi e le interminabili sfide. Non era così che ci eravamo organizzati il viaggio. Inoltre, nonostante la tappa sembrava fosse abbordabile, abbiamo dovuto comunque riscoprire i nostri limiti fisici, portati allo stremo sia per la fatica, sia per le condizioni estreme dell’ambiente. Siamo esausti, fisicamente e mentalmente. Come affronteremo il resto del viaggio?

domenica 1 luglio 1990

GREECE '90 - 5° Tappa: "Go Tell It On The Mountain"

CAPITOLO VII - Lunedì, 2 luglio 1990

Tragitto: KALAMATA / KARDAMYLI

Chilometri percorsi parziali/totali: 39 (di cui 2 in auto)/351 (di cui 2 in auto)

GIORNATA SCALFITA DALLE SOLITE FATICHE EROCOLINE E DA VARIE SORPRESE PIACEVOLI E MENO PIACEVOLI. BAGNO RISTORATORE E PRIMA TRAGICA ESPERIENZA DI PESCA, CON CONSEGUENTE CENA A BASE DI FRUTTA.

CRONACA:

Oggi ci svegliamo presto, alle otto e mezza. Avendo recuperato le energie nel giorno di riposo, ci sentiamo pronti a riprendere la nostra avventura. Mentre paghiamo la tassa per il campeggio, più per curiosità che per necessità, ci informiamo sulla viabilità del nostro tragitto odierno. Le notizie sono terrificanti: la strada diretta da Kalamata a Mystras (vicino a Sparta), circa 60 km, si preannuncia un’impresa impossibile da fare in bici. La direttrice del campeggio, segnalandoci prima sulla cartina il percorso tortuoso tra le cime montuose ed in seguito indicandoci con la mano la direzione tra le enormi montagne che si innalzano di fronte a noi per oltre mille metri, ci fa definitivamente apprendere come le tranquillizzanti indicazioni del nostro Prof. Hamann, che ci confermava che detto percorso non sarebbe stato così difficile come sarebbe potuto sembrare sulla cartina (probabilmente perché lui l’aveva attraversato in macchina?!), siano completamente inaffidabili.

Facciamo un improvviso ed alquanto drastico cambiamento dei piani: preferiamo allungare il tragitto sperando in percorso più bike-friendly.

Al bivio che troviamo alla fine di Kalamata, ci dirigiamo a sud, verso Kardamyli, un tratto di strada di una quarantina di chilometri che prevediamo sia relativamente pianeggiante, ma che con nostra sorpresa cambia tragicamente dopo i primi dieci chilometri percorsi costeggiando in piano il mare: dopo aver superato Mikri, la strada gira improvvisamente verso est addentrandosi nell’entroterra montuoso della penisola Messenica. Anche se le cime circostanti non superano i seicento metri, i successivi trenta chilometri, scopriremo in seguito, saranno un alternarsi di salite madornali, lievi discese e finti piani, tutte condizioni che rendono il tragitto più faticoso del previsto. Tra imprecazioni e parolacce colorite, affrontiamo nuovamente turbati la nostra sfortunata sorte. Fortunatamente il paesaggio è davvero suggestivo e ciò ci permette di distrarci frequentemente dai nostri sforzi.

Superiamo i primi chilometri in salita e raggiungiamo quasi i duecento metri di altezza. Siamo già sudati fino al midollo, il sole ci ustiona il collo nonostante i berretti e la meta ci sembra ancora irraggiungibile.

La strada è molto trafficata, e tra i vari mezzi che incrociamo ecco apparire nuovamente la famigliola trevigiana. Ci raggiungono a velocità modesta con il loro camper super-mega-lusso e appena ci scorgono, si accostano per informarsi sulle nostre condizioni fisiche, sulle nostre avventure ed i nostri progetti della giornata. Mentre li ragguagliamo, ci offrono gentilmente da bere, ma la loro apprezzata disponibilità aggrava la nostra flebile condizione: infatti, con l’intento di alleviarci la sete, ci porgono un bicchierino di Fanta (vorremmo evidenziare in modo particolare le misure ridotte del contenitore). Ingurgitiamo avidamente la bevanda e quello dei trevigiani sarebbe stato un gesto sinceramente apprezzato, se non fosse che la Fanta in questione, oltre ad essere dolcissima, misura la medesima temperatura dell’ambiente circostante. L’effetto su di noi è devastante, con il nostro corpo in conflitto con l’istinto di rimettere e l’espressione di gratitudine che cerchiamo faticosamente di mostrare. Anche se lo desideriamo, non osiamo chiedere un passaggio d’emergenza sul camper per il percorso restante, e loro non ce lo propongono, pertanto ci salutiamo, ringraziandoli, ed ognuno prosegue, ahinoi, per la propria strada.

Passano le ore ed il sole si posiziona allo Zenit. L’afa e la mancanza di liquidi ci hanno stremati. Quando ci troviamo a dover affrontare l’ennesima salita, decidiamo di spingere le bici, in modo da alternare per un po’ l’utilizzo dei muscoli rispetto a quelli utilizzati nelle pedalate. La fatica non è minore e la scomodità di tenere in equilibrio un mezzo che viene sbilanciato con facilità dalle sacche appese su entrambi i lati della bici, rende quasi più ardua l’impresa.

Nel frattempo, tanto per distrarci dai dolori muscolari, decidiamo di salutare tutte la macchine che incrociamo, alternando i saluti nella lingua abbinabile alle targhe che riconosciamo. E’ un giochetto che ci conduce spesso ad essere ricambiati con sorrisi e cortesia, ed in alcuni casi a gesti di puro volontariato: una coppia di romani, per esempio, interpreta il nostro saluto come una richiesta di aiuto e colti dall’inarrestabile istinto altruista ci offrono un pacchetto di biscotti. Ringraziamo, e mentre loro ripartono augurandoci tanta fortuna - condizione di cui siamo al momento fortemente carenti -, decidiamo di fare una breve sosta per rifocillarci.

Apriamo il pacchetto di biscotti, la nostra unica nostra risorsa alimentare. Infatti lungo le strade costiere del sud della penisola peloponnesiaca, difficilmente si trovano punti di ristoro se non nei paesini moderatamente organizzati…e ce ne sono pochi e distanti tra loro. Quindi, in questo momento, i biscotti sono considerati una manna dal cielo. Ci buttiamo bramosamente sui frollini prima di renderci conto che la saliva fa da collante con le briciole, rendendo pastoso ed appiccicoso l’intero intruglio. I pezzi iniziano ad incollarsi irrimediabilmente ai denti ed al palato, consentendoci di poter regalare ai successivi viaggiatori che incrociamo dei sorrisi davvero indimenticabili.

Il viaggio prosegue ed il caldo ci spreme il sudore da ogni poro. I biscotti, pur se graditi, non hanno minimamente soddisfatto il nostro appetito e la temperatura invivibile dell’una ci obbliga a fermarci per un’altra sosta. La fame ci sprona e ci guida fino ad un piccolo paesello sperduto, senza insegna e con una manciata di cascine. Chiediamo a delle ragazze, tra i venticinque e i trent’anni che incrociamo sul ciglio della strada, l’indicazione per un punto di ristoro e loro gentilmente ci accompagnano ad una piccola trattoria. Scopriamo che sono tedesche e ci fanno più o meno compagnia per tutto il tempo che mangiamo. Onestamente, non sappiamo come interpretare la loro presenza. Non comprendiamo, per esempio, se la loro esagerata disponibilità e gli eccessivi sorrisi pure nel momento del pasto abbiano altre finalità. Pur se non munite della tipica bellezza teutonica si presentano molto disinibite e decisamente provocanti. Onde evitare situazioni imbarazzanti, paghiamo il ristoratore e riprendiamo il viaggio salutando le simpatiche donzelle.

Lo ore passano in fretta tra ripide salite e rapide discese fino a quando, totalmente esausti nonostante il di per se breve tragitto, diamo segni di squilibrio facendo l’autostop pur pedalando, nella speranza di incrociare qualcuno disposto ad aiutarci. Testa bassa, prima marcia inserita, braccio sinistro teso e pollice verso.

Per molto tempo nessuno si ferma, fino a quando il nostro sadico destino si distrae brevemente, permettendoci di avere nuova fiducia nel futuro: un signore greco, munito di un pick-up decisamente datato, si ferma ed in un lingua mista e congiunta di gestualità e termini fonici casuali, comprende che chiediamo di essere accompagnati a Kardamyli. Inizialmente resta sbalordito dalla richiesta, non certo di aver compreso, ma successivamente ci offre il passaggio con molto piacere.

Carichiamo faticosamente le biciclette sul furgoncino e partiamo sedendoci nella cabina insieme al nostro benefattore. Per tutto il breve viaggio il tizio ci racconta, in un semi greco-italiano, che in passato è stato in Italia e che lì ha incontrato una donna bellissima, con la quale ha passato dei fantastici momenti e della quale conserva ancora il numero di telefono. Ascoltiamo sempre annuendo in segno d’interesse, anche se non garantiamo di aver compreso ogni singolo dettaglio. Giungiamo infine a destinazione, scarichiamo i nostri mezzi e ringraziamo con sincera gratitudine il soggetto.

Ci dirigiamo verso uno dei tre campeggi elencati nella nostra bibbia-di-viaggio e lì, con nostra sorpresa, incontriamo nuovamente i trevigiani con il loro camper. Anche loro sono arrivati da poco e si sentono moralmente battuti non comprendendo come abbiamo potuto raggiungerli in così poco tempo. Ci concediamo per un breve periodo di sfruttare il nostro segreto vantandoci invece delle nostre ciclopiche imprese con sfrontata modestia.

Montiamo in tutta fretta la tenda sotto un ulivo, tra rocce e radici, ci mettiamo il costume ed andiamo ad immergerci nelle fredde acque dell’Egeo per rinfrescarci.

Nel tardo pomeriggio ci dirigiamo in paese per fare la spesa: dopo tanti giorni passati a mangiare cibi che alzano spaventosamente il livello del colesterolo la scelta cade sulla frutta, così ammaliante ed appetitosa. Ne compriamo così tanta che il budget giornaliero non ci permette di acquistare nulla di “extra”. Il menu propone quindi: cocomero, melone, pesche, alcune albicocche, prugne, ecc..

Al tramonto decidiamo di darci alla pesca, improvvisando un’improbabile canna da pesca, costituita solo da un misero legnetto con uno filo di nylon. Il compassionevole amo ondeggia per l’aria in assenza del numero sufficiente dei fondamentali piombini. Diciamolo, l’attrezzatura portata da casa non garantirà di certo un ricco bottino. L’unica sventurata preda che riusciamo infatti a catturare dopo oltre un’ora di attesa è un innocuo e coloratissimo pesciolino, preso letteralmente e per pur casualità, per il naso.

Concludiamo la serata con le solite chiacchiere, racconti, e confessioni per poi coricarci nelle tende. Anche i “letti” iniziano a dare meno fastidio, dopo i vari giorni di adattamento:

prima di partire per questa avventura, nella nostra inesistente esperienza di vita da campeggio, contestualmente all’acquisto della canadese non abbiamo valutato la necessità di procurarci anche dei materassini, ad acqua o di gomma, confidando nei ricchi prati verdi e tipici della Grecia, come avevamo sempre identificato nelle immagini di Pollon, in cui fitte boscaglie si alternavano ad ampi prati in fiore…ebbene, dopo ormai una settimana di vita “rurale” in cui l’unico separatore tra il nostro corpo e la terra era la sottile plastica della base della tenda, sia le nodose radici, sia i più spigolosi sassi vengono ora selezionati al momento del montaggio della tenda. Ormai ci basta un colpo d’occhio. Simulando la posizione notturna valutando in anticipo i punti di pressione: “…allora, quel sasso si posiziona tra la quarta e la quinta costola, mentre quella sporgenza si incastra perfettamente con l’anca, in quella buca ci metto le spalle e la testa la appoggio su quella comodissima radice di ulivo…direi che ci siamo!”.

E poi ci stupiamo perché al mattino ci svegliamo ancora stanchi e con gli arti atrofizzati.

COMMENTO:

Stiamo iniziando ad accusare il colpo dell’insoddisfazione: oltre a Olympia non abbiamo visto altri siti ed il continuo cambio di programma, dovuto a difficoltà superiori del previsto seguito dalle medesime fatiche che abbiamo tentato invano di evitare, incrina la nostra volontà. Fortunatamente il panorama è davvero mozzafiato da queste parti, con un alternarsi di colline rocciose tempestate di ulivi e golfi azzurri abbracciati da tentacoli di pinete.

GREECE '90 - "Greek Mundial"

CAPITOLO VI - Domenica, 1 luglio 1990

Luogo: KALAMATA

Chilometri percorsi parziali/totali: -/312

BAGNO, CIBO E SPORT….L’ELISIR DEL GIOVANE SFATICATO…MA OGNI TANTO CE VO’

CRONACA:

Un record….addirittura quasi 10 ore di dormita questa notte!! Il campeggio semideserto (vorrà dire qualcosa sulla qualità del servizio?!), avvolto nella sua conseguente tranquillità, ci ha aiutato a riposare come si deve.

La giornata di sosta programmata trascorre tranquilla: un breve bagno in un mare di una trasparenza rara, innumerevoli pasti ipercalorici, discorsi con argomenti di vario genere, finché alle sei del pomeriggio ci mettiamo comodamente su un divano ad assistere l’altra nostra nazionale: la Germania, con gli “italiani” Matthäus, Klinsmann, Brehme e Völler, che sfida la sorprendente Cecoslovacchia battendola però senza problemi per due reti a zero.

Altra sfida interessante è Camerun contro Inghilterra, resa eccitante grazie alla presenza di Milla e del goffo portiere inglese Shilton, compagni di età ma non di bravura. Il nostro tifo non è però bastato a far vincere la squadra africana. Peccato, si meritava di passare il turno.

COMMENTO:

Questi giorni di riposo ci hanno aiutati a conoscerci meglio affrontando discorsi seri e raccontando ricordi di marachelle giovanili. In fondo all’inizio del viaggio eravamo quasi degli sconosciuti l’uno per l’altro e questa esperienza ci permette di comprendere ed apprezzare le nostre reciproche personalità.

Ormai ci siamo abituati alla mentalità greca, tranquilla e cortese, e al modo di comunicare con loro. La fatica fisica ci fa ancora soffrire di notte per i vari dolori muscolari che però iniziano ad attenuarsi.

Possiamo sbilanciarci con un giudizio generale: il panorama è magnifico, le persone sono molto cordiali, la compagnia di viaggio è interessante e piacevole…quindi…. CI STIAMO DIVERTENDO UN MONDO!!

SHARM EL SHEIK - 2K: CAPITOLO 5 - Omi

     Prendiamo il volo come da programma, atterriamo a Monaco di Baviera e per prima cosa cerchiamo il desk del tour operator. Sorvolo sulla...