martedì 26 giugno 1990

GREECE '90 - 1° Tappa: "Lost"

CAPITOLO I - Martedì, 26 giugno 1990 Tragitto: PATRASSO-AGRAPIDOCHORI Chilometri percorsi parziali/totali: 72/93 km
L’APPROCCIO GRADEVOLE SULLA STRADA SI TRAMUTA IN UNA TRAPPOLA SEMI-MORTALE SU PERCORSI DI GHIAIA E TERRICCIO CON PENDENZE MICIDIALI, LASCIANDO ALLA SOLA FORZA DI VOLONTÀ IL COMPITO DI EVITARE A STENTO IL MASSACRO PSICO-FISICO
CRONACA Premessa: Tralasciamo volutamente le iperboli ed esagerazioni varie, lasciando però spazio ad eufemismi provocati dall’offuscamento e dalla trasfigurazione della memoria, tenteremo di narrare i fatti il più conciso e realistico possibile, fatti e gravità dei fatti permettendo.
Sembra veramente che il "buon" giorno si veda dal mattina: un forte vento, infatti, si leva oggi ad intralciare le nostre presunte prestazioni ciclopiche. Smontiamo la tenda ricollocandola con forza nella custodia e carichiamo le bici. Siamo pronti per partire. Via!... Lasciamo rapidamente Patrasso alle nostre spalle e ci avviamo sulla provinciale che dovrebbe condurci verso la nostra prima meta: Olympia. Sulla cartina vediamo che la strada provinciale, partendo da Patrasso costeggia tutto il lato ovest del Peloponneso fino ad arrivare ad Olimpia. Sono circa 130 chilometri. Troppi per il primo giorno. Il nostro programma prevede pertanto di abbreviare il percorso preferendo l’utilizzo di una "strada secondaria", un’alternativa che ci avrebbe permesso di evitare più di 30 chilometri, non pochi in effetti. Così, all’altezza di Kaminia, dopo aver percorso solo 12 chilometri, abbandoniamo la provinciale per dirigerci nell’entroterra, prendendo come punto di riferimento una lontana catena montuosa… Dopo l’apparente illusione dei primi venti chilometri in pianura, piacevoli, scorrevoli e soprattutto asfaltati, situazione che scopriremo in seguito essere non del tutto scontata in Grecia, si intravedono le prime difficoltà con un’improvvisa, ripidissima e massacrante salita sotto un sole battente. Ebbene sì, sono solo le 11 di mattina e la temperatura ambiente, misurata con l’unico mezzo a nostra disposizione, il sudore e la frittura della nostra pelle, ci indica che il calore ha raggiunto dei gradi decisamente allarmanti: stimiamo, per difetto, circa un 40°C. I tornanti ci sfiancano, il sole ci consuma, la strada si restringe e l’asfalto scompare drasticamente! Solo l’acqua chiesta ed ottenuta ripetutamente dai cortesissimi paesani ci consente di resistere e di proseguire. Il paesaggio che stiamo percorrendo, contraddistinto da ampie zone rocciose quasi prive di vegetazione, ci trasmette fascino ed al tempo stesso disagio: la strada sterrata attraversa paesini di 4 o 5 case trascurate da anni, incontriamo cani randagi che girovagano senza meta, superiamo auto e camioncini arrugginiti abbandonati sul bordo della strada, sostiamo sotto una tettoia di un vecchio distributore che sicuramente non eserciterà più, considerate le condizioni in cui riversa. Alcune volte assistiamo a commoventi immagini da foto ricordo, con i classici vecchietti, cappello in testa e sorriso sdentato, seduti su una vecchia panca all’ombra di una veranda, con la pelle del viso scolpita dalle esperienze di vita e dal sole della loro terra. Ci fermiamo per l’ennesimo rifornimento dell’acqua davanti ad una casa con un portico ricoperto da vigne. I proprietari, una famiglia loquace ed amante dell’Italia, dopo aver scambiato quattro chiacchiere di circostanza in una lingua mista tra l’italo-angol-greco, in cui ognuno dava chiari segni di aver compreso l’altro, mentendo spudoratamente, ci avverte che la strada e le condizioni per Portes, il nostro obiettivo intermedio, peggioreranno. Marc ed io ci scambiamo uno sguardo che sintetizza il nostro comune pensiero. Tornare indietro non si può, e soprattutto non si vuole, quindi ringraziamo la famigliola greca per la cortesia e ci avviamo fiduciosi e convinti che stessero esagerando per prendersi gioco di noi.
Per diritto di cronaca, la sorte ci aveva giocato un altro scherzo: il sole si era nascosto dietro ad una nube durante tutta la sosta, per poi riapparire prontamente più aggressivo e rovente di prima nello stesso momento in cui siamo saliti nuovamente in sella alle bici (!!).
La strada sterrata si stringe e si tramuta in un sentiero di ghiaia e sassi, una curva ne nasconde una successiva con pendenze sempre maggiori ed iniziamo a scendere dalle selle per spingere i nostri mezzi. Dopo due ore di alternanza tra pedalate e cammino, in cui abbiamo percorso solo una mezza dozzina di chilometri, accompagnati da imprecazioni variegate, raggiungiamo finalmente un altopiano. Sono le due di pomeriggio, ci sediamo all’ombra delle rocce schiacciandoci il più possibile contro il muro per evitare i raggi perpendicolari del sole. Ci guardiamo attorno, un po’ sconsolati e devastati dalla stanchezza e troviamo la conferma ai nostri sospetti: ci troviamo in cima a quelle montagne che avevamo inizialmente usato come riferimento. Cartina alla mano, ciò voleva dire che negli ultimi dieci chilometri avevamo coperto un dislivello di 956 metri. E pensare che ai primi tornanti ironizzavamo: "Ti immagini se la strada dovesse passare proprio da quelle cime?! Ah, ah, ah, sarebbe un massacro…!!" scherzava uno e l’altro bacchettava: "Ma va, figurati se una strada secondaria ti porta sopra ad una montagna…!!"… Mai parole furono più errate… Riprendiamo fiacchi fisicamente, ma con la volontà di arrivare alla destinazione prefissata e dopo un altro paio d’ore avvistiamo in lontananza Portes, il paese vicino al "lago" Ilis. Siamo decisamente in ritardo sulla tabella di marcia considerando che al lago, che poi si è rilevata una palude, era programmata la sosta del pranzo…. Sono le quattro e mezza e sarà un vero miracolo se raggiungeremo quella dannata palude prima del tramonto… Portes è stata scelta come meta di percorso perché ci è stato assicurato che avremmo trovato l’unico bar nel raggio di diversi chilometri e quindi l’ultimo avamposto in cui rifocillarci. Non si comprende come un paesello sperduto e privo di reti infrastrutturali, in cui riecheggiano unicamente i versi dei vari animali allevati, asini, capre, galline, possa avere un bar. Sorvoliamo sull’odissea di ripetute domande e mancate risposte nella Hometown di forse 20 anime. Alla fine ci affidiamo al caso e scegliamo a caso tra quattro case… e toh,… ci azzecchiamo. Le altre case sono delle stalle!! Ebbene, non avendo intenzione di offendere nessuno, riteniamo che non si possa trovare un termine più adatto di Topaia-succhiasoldi per descrivere quel posto: un locale di 5 metri quadrati che versa in condizioni igieniche inenarrabili, con un bancone ricavato da chissà quale mobile appartenuto al bisnonno. La scelta dei prodotti alimentari è estremamente difficile considerato il vasto assortimento: Sprite ghiacciata, e non per modo di dire, o Birra a temperatura ambiente? Di acqua nemmeno a parlarne…non si offre acqua agli unici clienti dei prossimi dieci anni!!
Infatti questa esperienza raggiunge l’apice per la tanto decanta e miticizzata economicità greca: il prezzo per una bottiglia da mezzo litro di Sprite e per una bottiglietta da 0,33 l di birra è alle stelle! Evitiamo miracolosamente la congestione con la Sprite e riusciamo a sopravvivere con coraggio all’assunzione della arroventata ed inebriante birra. Si riparte quindi semi-ubriachi e soprattutto arrabbiati perché in pancia regna ancora l’assoluta aridità, ad eccezione dei recenti liquidi. Per comprendere l’angoscia che ci sta crescendo dentro, cercherò di rappresentare il territorio in cui ci troviamo: Siamo circondati da piccole montagne rocciose, in cui si trova incastonata un’immensa palude, il paesaggio è sezionato da sentieri e strade sterrate su cui passano probabilmente solo fuoristrada o trattori. Fili spinati e recinti in legno improvvisati delimitano quelle che crediamo siamo proprietà o luoghi per il pascolo del bestiame, che però non riusciamo a scorgere. Qua e là, distribuite in modo totalmente casuale, qualche casupola. Su alcuni terreni aridi si coltivano sporadicamente alberi da frutto, in cui predominano i peschi, ed in altri si intravedono maestosi ulivi secolari. Sopra alle nostre teste volano uccelli di grandi dimensioni simili a gazze o cornacchie, che ci ricordano un po’ gli avvoltoi dei film western. In questa cornice quasi poetica, immersa nel più totale silenzio, ci troviamo noi, due adolescenti smarriti, incoscienti provvisti di mezzi inadatti a quell’ambiente ed a quel terreno. Seguiamo le chiarissime ed utili indicazioni gesticolate dai pochi passanti che incrociamo e … ci perdiamo nei campi. Continuiamo a salire e a scendere dai sentieri, tutti uguali, tutti rocciosi. Il manubrio vibra pesantemente ad ogni sasso con cui si scontrano le gomme, le braccia ed il fondoschiena iniziano a dolere. I muscoli delle gambe continuano ad emettere incessantemente acido lattico…ma ce la possiamo fare! Totalmente incazzati, tentiamo di prendere una scorciatoia improvvisata e restiamo intrappolati in un filo spinato. No, questa non ci voleva! Qui ci rendiamo conto delle diversità delle bici che all’apparenza sembrano simili, ma in verità…. : la mia, riacquistata all’ultimo istante prima della partenza a causa di un precedente furto, è in alluminio e quindi relativamente leggera; quella di Marc….eh sì, quella di Marc è un vecchio modello probabilmente realizzato ancora ai tempi della Reichswehr e costruito con i pezzi avanzati dei Panzer: struttura in ferro pieno, catena spessa modello cigolo (appunto, del carro armato), portapacchi ricavato da una vecchia impalcatura…peso complessivo del mezzo senza bagagli: oltre 50 chili!!! Con le poche forze rimaste solleviamo e lanciamo le bici letteralmente oltre la recinzione, tentando, invano, di seguire il loro esempio. Il nostro salto alla "Olio Cuore" fallisce vergognosamente, e per dignità preferiamo tralasciare la descrizione delle conseguenze e le variopinte espressioni che hanno seguito il tonfo. Nel frattempo si aprono lentamente le cerniere delle borse sulla bici di Marc… Lungo il percorso iniziano a seguirci dei piccoli e sorridenti bambini, che ci ricordano un po’ l’atteggiamento di certi avvoltoi nei deserti americani. Non sappiamo se ci sbeffeggiano o se ci studiano, avendoci visti passare svariate volte davanti alla loro abitazione. E già che parliamo di ripetizioni, dopo diversi bivi imboccati alla cieca a causa della più totale assenza di segnalazioni, rieccoci nuovamente al punto di partenza, alle porte della nostra tanto amata Portes…. NOOOOOO! Non può essere vero!!! Non intendiamo ancora buttare la spugna, ma la mente si annebbia lentamente con la angosciante consapevolezza che non riusciremo più ad uscire da questa dannata vallata!!! Così, per scacciare questa affliggente sensazione, continuiamo a chiedere ad un vecchietto che porta al pascolo il suo asinello: toh, ci pare che abbia azzeccato la direzione, o almeno è quello che ci vuol far credere il nostro frastornato istinto d’orientamento. In discesa per qualche altro chilometro di quella STRADA SECONDARIA (guida Touring dixit) non asfaltata e una nuova sorpresa ci colpisce al ventre: Marc ha bucato la sua gomma!! Il sole è ormai tramontato ed il calore è ormai scomparso, anche se noi continuiamo a sudare senza fine. Per tre quarti d’ora tento con fatica di adeguare la camera d’aria di scorta modello MAMMUT, di tre misure più grande, alla misera, piccola ruota. Solo piegandolo in diversi punti (i ciclisti inorridiranno), riesco a ricollocare la camera d’aria all’interno del copertone della mountain-bike. Risistemiamo gli attrezzi di corsa nella borsa e ci cade l’occhio sui biglietti di ritorno del traghetto. Una scena pietosa: il caldo aveva fatto sciogliere lo zucchero che si era sparso un po’ ovunque, e avevano inzuppati i biglietti che li avevano resi lerci ed appiccicosi… mah…adesso però abbiamo altro a cui pensare e sovrappensiero richiudiamo in qualche modo le borse. Dobbiamo continuare e continuiamo…passiamo davanti ad un signore seduto sul bordo della strada, e tra un’indicazione e l’altra, in cui ci conferma la direzione da prendere, ci offre, buon anima, due micro-pesche della grandezza di un oliva. A caval donato non si guarda in bocca, pensiamo, e poi non mangiamo da troppo tempo. Passiamo davanti ad un nonno con nipotino che ci osservano stupiti di vedere passare gente forestiera con un mezzo simile….la tentazione di ignorarli è tanta, ma il timore di trovarci ancora sulle strada errata ci convince a chiedere l’ultima indicazione. Gesticoliamo, ed ormai siamo diventati bravi, e scopriamo di trovarci a Dafni, un paesello che si trova in direzione di Patrasso, dalla parte opposta rispetto alla nostra meta, Olimpia. La sete di vendetta verso quel "buon" uomo di prima ci permette di trovare le ultime forze per ripercorrere parte della stessa strada di poch’anzi, ma il buio e l’orario, sono le otto e mezza, ci fanno desistere…per oggi è salvo, ma se domani lo becchiamo…. Ci accampiamo al primo ripiano che incontriamo: è ricoperto di escrementi di capra, ma ormai chi se ne frega!!!! Mentre io tento al buio di montare in qualche modo la tenda, Marc parte alla ricerca di una casupola con una tanica vuota in mano per cercare di ottenere almeno un po’ di acqua. Nell’attesa del ritorno dio Marc mi guardo attorno e scopro di trovarmi nello stesso punto in cui qualche ora prima avevo cambiato la gomma alla bici. Per la prima volta vengo colto dalla paura, la consapevolezza che da lì non saremmo mai più usciti! Siamo in viaggio da 12 ore, in tutto il giorno avevamo mangiato solo due fette di pane e marmellata, l’ultimo goccio di acqua era stata assimilata diverse ore fa e non ero sicuro che Marc ne avrebbe trovata dell’altra. Lo scenario non era dei più promettenti. Inoltre ci trovavamo in mezzo alle montagne, senza alcun segno di vita nelle dirette vicinanze. Sì, volevamo l’avventura, ma questa stava rischiando di diventare la nostra tomba… l’unica salvezza, domani. Marc ritorna, non sorride, ma è riuscito ad ottenere qualche litro d’acqua da una gentile coppia di contadini distanti qualche centinaio di metri da noi. Per cena la cucina offre solo del caffè freddo in polvere….poi ci corichiamo cercando di dormire….ma non sogniamo… COMMENTO All’inizio ci fu euforia ed interesse per il nuovo, il diverso. Poi la fatica fece il suo trionfale e dominante ingresso. La frustrazione tentò di predominare, ma la rabbia e la disperazione la scacciarono con determinazione. La stanchezza, mai provata in un’intensità così esagerata, in tutti e due i campi, quello fisico e quello psichico, si aggiudicarono inevitabilmente l’ultimo round. Essa non impedì comunque alla saggezza ed al pensiero di comparire per immettere nuova, lungimirante speranza a lungo termine. P.S. IN MEMORIA AI POSTERI: Predominanti momenti di fatica, regolari momenti di dolori, periodici momenti di speranza, conseguenti momenti di delusione, innumerevoli momenti di rabbia…momenti che al passato significano avventura, al presente significano battaglia, al futuro significano morte!!

4 commenti:

  1. sai che esistono persone che invece vanno al club Med? Poveri, che si perdono cose da raccontare e che ti temprano il carattere.

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  2. non cambierei per nulla la mondo l'esperienza che ho fatto...è stata unica ed irripetibile...a quell'età, in quelle condizioni, in quel paese, altro che temprarti il carattere...inizi a capire un po' meglio chi sei...

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  3. ahhhh..non riesco a smettere di leggere!!!! ma devo scappare, riprendo dopo! che bello mi ricorda tanto i miei viaggi adolescenziali in Europa! Complimenti, ho appena iniziato a leggerti e mi piace molto come scrivi, poi e' sempre costruttivo vedere cosa pensa un papa'...grazie!

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  4. Ciao Pocahontas, benvenuta!! Sono venuto a trovarti sul tuo blog e mi sa che ci tornerò spesso;-)
    Purtroppo non aggiorno spesso il blog perchè la revisione del testo originale non è sempre facile (lacunosa o illeggibile)...
    A presto...sprero

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